Da uno studio di FEDERICO VALERIO
Centrali a biomasse: tutte illegali
In Italia, sono ormai un centinaio le centrali elettriche alimentate direttamente o indirettamente, con biomasse, ovvero prodotti vegetali (cippato di legno, scarti alimentari, oli di mais, sansa di olive...) e scarti animali (pollina, scarti di macellazione, deiezioni da allevamenti suini e bovini). Inoltre, quindici sono gli inceneritori che oggi in Italia producono elettricità bruciando materiali di origine organica (scarti alimentari, materiali cellulosici, sfalci, potature...).
In Italia, nel 2009, complessivamente, risultava installata una potenza elettrica, alimentata a biomasse, pari a 1.728 mega watt.
Tutte queste centrali esistono, in quanto, inceneritori compresi, permettono affari sicuri, grazie agli incentivi quindicennali generosamente regalati loro, con i Certificati Verdi, certificati pagati da tutti gli Italiani, con l'apposita tassa fissata sulla bolletta della luce.
Ebbene, tutte queste centrali sono illegali!
L'illegalità e' dovuta al fatto che tutti questi impianti, una volta entrati in funzione, hanno peggiorato la qualità dell'aria dei territori che li ospitano con l'immissione in atmosfera di importanti quantità di ossidi d'azoto, polveri sottili e ultra sottili, idrocarburi policiclici aromatici, diossine...
La legge violata e' il Decreto Legislativo 155/2012 che, tra le sue finalità, prevede di "mantenere la qualità dell'aria ambiente, laddove buona e migliorarla negli altri casi".
E' una finalità chiara, sensata e, sostanzialmente, rispettata fino a qualche anno fa.
Tutte le statistiche dimostrano che, da alcuni decenni, a parita' di produttività, le emissioni inquinanti inviate nell'atmosfera del nostro Paese, sono drasticamente diminuite.
Questo risultato e' stato ottenuto migliorando i combustibili ( gasolio a basso tenore di zolfo, benzina senza piombo), sostituendo olio combustibile e carbone con gas naturale, con più efficaci trattamento fumi ( filtri a manica, marmitte catalittiche).
Questa tendenza, che ha comportato un progressivo miglioramento della qualità dell'aria del nostro Paese, si è interrotta con il proliferare di grandi e piccole centrali alimentate con biomasse, compresi i "termovalorizzatori" di rifiuti urbani, in tutti i casi combustibili poveri e altamente inquinanti.
Ad esempio, a parità di energia prodotta (elettricità+calore), una centrale alimentata a biomasse legnose emette 42 volte più polveri sottili (PM10) di una centrale di pari potenza, alimentata con gas naturale.
Non sono meno impattanti le centrali alimentate con gas di sintesi prodotto dalla gassificazione del legno, in teoria migliori della combustione diretta delle stesse biomasse gassificate.
Un impianto di gassificazionedi cippato di legno da un Megawatt di potenza elettrica, nel pieno rispetto dei limiti alla concentrazione di inquinanti presenti nei suoi fumi, emette annualmente circa 6 tonnellate di ossidi di azoto, circa 6 tonnellate di ossido di carbonio, 4 tonnellate di anidride solforosa e 300 chili di polveri sottili PM 10.
In assenza di impianti di teleriscaldamento e senza il contemporaneo spegnimento di impianti termici poco efficienti, alimentati con combustibili con fattori di emissioni superiore a quello delle biomasse utilizzate, e' inevitabile che tutti questi inquinanti provochino un sicuro peggioramento della qualità dell'aria e un proporzionale aumento di rischio sanitario per la popolazione esposta.
Questo significa che il rispetto delle concentrazioni di inquinanti nei fumi, ammessi dalla Legge e' una condizione necessaria, ma non sufficiente, al rilascio delle autorizzazioni per la realizzazione e l'entrata in servizio di questi impianti.
L'autorizzazione ha valore solo se il progetto dimostra anche che l'entrata in funzione dell'impianto "mantiene la qualità dell'aria ambiente, laddove buona e la migliora negli altri casi".
Questa duplice norma cautelativa (rispetto dei limiti alle emissioni e rispetto di una delle finalità del Decr. 155/2012) e' stata fatta propria con la Delibera 362 dalla Regione Emilia Romagna del 26 luglio 2011 che afferma:
Ai fini della localizzazione di impianti per la produzione di energia a biomasse aventi potenza termica nominale superiore a 250 kWt si applicano i seguenti criteri generali: x Su tutto il territorio regionale gli impianti devono utilizzare le migliori tecniche disponibili; x Nelle aree di superamento e nelle aree a rischio di superamento, è possibile localizzare impianti a biomasse solo a condizione che si sostituiscano sorgenti emissive esistenti e che sia assicurato un saldo complessivo pari almeno a zero delle emissioni in atmosfera di PM10 e NO2; x Nelle altre zone si deve utilizzare un criterio cautelativo per mantenere la qualità dell’aria ambiente.
"Il computo emissivo deve essere effettuato per i parametri PM10 e NOx (ossidi di azoto espressi come NO2) e per entrambi gli inquinanti nelle aree di superamento e nelle aree a rischio di superamento il saldo emissivo complessivo deve essere: Saldo emissivo = Emissioni nuovo impianto - Emissioni spente o ridotte �� 0 Nella valutazione del saldo emissivo complessivo vanno dunque computate le sorgenti emissive esistenti che saranno “spente” o ridotte con l’entrata in funzione dell’impianto. Si configurano in particolare due casistiche possibili:
- sostituzione di emissioni provenienti da impianti esistenti; - installazione di nuovi impianti con contestuale riduzione delle emissioni complessive sul territorio tramite la realizzazione di opportune misure integrate localizzate in via prioritaria nella medesima area comunale o, in dipendenza dalla localizzazione dell’impianto, nelle aree contigue ricadenti in altri Comuni, da definire con le autorità competenti anche attraverso eventuali Accordi. " E' interessante notare che la Regione Emilia Romagna, prevede che il computo emissivo sia fatto anche valutando le emissioni del traffico indotto per il trasporto delle biomassea alla centrale . Sarebbe opportuno che, al più presto, una simile norma (chiarendo meglio quali possano essere i criteri cautelativi da adottare nelle zone dove la qualità dell'aria e' già buona) sia introdotta in tutte le legislazioni regionali, in quanto ora, solo i cittadini dell'Emilia Romagna hanno a loro disposizione una norma che li tutela. Comunque, evidenziamo che, dati alla mano, in tutte le aree servite da gas naturale, il più pulito combustibile di cui possiamo disporre, sarà impossibile che l'uso energetico di biomasse al posto del gas naturale, possa lasciare inalterata, e tantomeno migliorare, la qualità dell'aria del territorio interessato alle ricadute dei fumi prodotti dal nuovo impianto.
Pertanto, ipotizzo che gran parte delle attuali autorizzazioni rilasciate ad impianti alimentati a biomasse, compresi gli inceneritori per rifiuti urbani, siano illegittime.
La parola definitiva a qualche buon avvocato che non si crei problemi a schierarsi a favore della salute del Popolo Italiano.
Se nel frattempo qualche ministro dell' Ambiente, dello Sviluppo Economico e delle Finanze provvedesse ad abolire gli incentivi a tutte le centrali a biomasse, gliene saremo grati in eterno.
Nel suo ultimo rapporto l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) conferma che le polveri sottili (PM10- PM2,5) sono pericolose per la salute umana a tutte le concentrazioni.
In particolare, studi effettuati in Europa (Italia compresa), hanno verificato che il rischio di morire per cause acute (ictus, infarto) sussiste anche quando la popolazione è esposta a concentrazioni di PM2,5 inferiori a 10 microgrammi/metro cubo (ug/m3).
Questo significa che, anche raggiungendo il limite di 10 ug/m3 previsto nel 2020, ci sarà qualcuno che morirà a causa dell'inquinamento dell'aria, anche se più basso dei valori medi che oggi si registrano nelle città italiane (Torino 35, Milano 33, La Spezia 16, Roma 20,5 ug/m3).
E la figura d'apertura mostra, con evidenza, come la Pianura Padana ( in viola) sia una delle aree europee a maggior inquinamento da polveri sottili.
Un fatto molto grave, con pesanti costi sanitari che oggi si possono quantificare con precisione; ma tutto questo sembra non interessare nessuno dei nostri amministratori pubblici.
In base alle stime ISPRA, nel 2010 il macro settore che ha maggiormente contribuito alla produzione di PM10 nel nostro Paese è quello delle combustioni non industriali, il riscaldamento domestico, lo stesso macrosettore segnalato per l'elevato inquinamento da IPA.
Anche in questo caso il contributo delle combustioni non industriali all'inquinamento della nostra aria è aumentato nel tempo: nel 1990 le combustioni non industriali hanno prodotto 28.600 tonnellate di PM10, nel 2010 le tonnellate sono state 90.800 tonnellate.
In questo stesso anno, la seconda fonte di inquinamento è stato il trasporto stradale, ma con "solo" 34.000 tonnellate.
E' interessante notare che nel 1990 la principale fonte di PM10 erano i trasporti stradali (54.700 tonnellate) seguita dalle combustioni industriali per la produzione di energia (44.800 tonnellate) e dalle combustioni industriali (35.600 tonnellate).
Per quale motivo le combustioni non industriali sono diventate la principale fonte di emissione di PM10?
STUDI NEI PAESI SCANDINAVI:
Si evidenzia come in Danimarca, la quantità prodotta di PM2,5 sia nettamente aumentata, passando da circa 5.000 tonnellate nel 1990 a circa 18.000 tonnellate nel 2010.
Nello stesso intervallo di tempo si segnalano aumenti delle emissioni di PM2,5 anche in Svezia e Finlandia, anche se con incrementi inferiori a quelli registrati in Danimarca.
E' fuori di dubbio che l'aumento delle emissioni di PM2,5 danesi sia dovuto all'aumento dell'utilizzo della legna per il riscaldamento domestico.
Attualmente, circa il circa il 20% dei consumi danesi per il riscaldamento domestico è coperto dalla legna.
Ancora una volta, i confronti tra i fattori di emissione ci permetteranno di verificare come la legna non sia cosi "pulita" come si dice, anche per quanto riguarda le emissioni di polveri sottili.
I migliori impianti per il riscaldamento domestico alimentati a legna (stufe e caldaie a pellet), per ogni Giga Joule (GJ) di energia prodotta emettono 29 grammi di PM10. Lo stesso fattore di emissione viene stimato per le PM2,5.
I fattori di emissione di PM10 e PM2,5 di una caldaia alimentata a metano sono pari a 2,2 grammi/GJ.
E una calderina mono famigliare (potenza termica < 50 kWt) alimentata a metano ha fattori di emissione delle polveri sottili ancora più bassi: 0,2 grammi/GJ per ciascuna categoria di polveri.
Ancora una volta i dati confermano che è vero che il metano ci da una mano per avere aria più pulita.
In Italia, di pari passo con lo sviluppo industriale e l'abbandono delle tradizionali attività agricole, forestali e artigianali, si sono ridotte le aree del Paese in cui la qualità dell' aria potrebbe definirsi buona, in base ai criteri stabiliti dalle Leggi nazionali.
Il Decreto legislativo 155 del 2010, individua i composti tossici pericolosi per la salute, la cui presenza nell'aria deve essere regolarmente controllata per verificare che le loro concentrazioni medie siano inferiori a specifici valori,definiti come obbiettivi di qualità dell'aria.
Ad esempio l'obiettivo di qualità per le polveri sottili, in particolare per quelle il cui diametro è inferiore a 10 micron (10 millesimi di millimetro) e definite PM10 è stato stabilito pari a 40 microgrammi (milionesimo di grammo) per metro cubo d'aria, come media annuale.
Questo significa che, se 365 misure giornaliere di PM10, realizzate regolarmente nell'arco di un anno, fanno registrare un valore medio superiore a 40 ug/m3 (ad esempio 41 ug/m3), il territorio controllato dalla centralina e' fuori legge, in quanto la qualità della sua aria è peggiore a quella che la Legge, oggi giudica accettabile per la salute di chi quell'aria respira.
In questo caso, il Decreto impone alle Regioni interessate l'attivazione d'interventi finalizzati a migliorare la qualità dell'aria e a portarla a valori, almeno pari all'obiettivo di qualità, in questo esempio 40 ug/m3.
Per raggiungere quest’obiettivo e' necessario individuare la fonte che produce la maggiore quantità di polveri sottili e adottare tutte gli accorgimenti utili per ridurre le sue emissioni in atmosfera.
I monitoraggi effettuati dopo gli interventi di risanamento faranno fede sull’efficacia degli interventi adottati: anno dopo anno la concentrazione media di PM10 deve essere inferiore a 40 ug/m3 e più bassi saranno i valori riscontrati, meglio sarà.
Quest’ obiettivo si può raggiungere adottando trattamenti fumi più efficienti (filtri a maniche, marmitte catalitiche), utilizzando combustibili più "puliti (metano al posto del carbone e del gasolio), aumentando l'efficienza energetica degli impianti e delle abitazioni.
Oggi, in Italia, la rete di monitoraggio segnala che gran parte delle aree industriali e delle aree urbane del nostro Paese non rispettano gli obiettivo di qualità per il PM10. In particolare e' "fuorilegge" gran parte della Pianura Padana, dove si concentrano le centraline che nel 2011 hanno registrato almeno 35 giorni con concentrazioni di PM10 superiori a 50 microgrammi per metro cubo (ug/m3).
Questo dato negativo è stato registrato presso 212 centraline di monitoraggio, il 48% di tutte le centraline di monitoraggio operative in Italia nel 2011.
QUALITÀ DELL'ARIA IN ZONE RURALI E MONTANE
Le aree rurali del nostro Paese sono state individuate come zone di controllo dell'inquinamento atmosferico prodotto dai cosiddetti inquinanti primari, quelli direttamente prodotti dalle attività umane: traffico, riscaldamento domestico, attività produttive.
La Tabella 1 mostra che queste aree, e i loro abitanti, nel 2011 hanno goduto di un’ottima qualità dell’aria con valori medi annuali delle PM10 nettamente inferiori agli attuali limiti di legge.
Anche il numero di giorni con elevato inquinamento (PM10 superiore a 50 microgrammi/m3) è molto basso.
Nei casi riportati nella Tabella1 solo il sito di Donnas, in Val d’Aosta fa registrare un lieve superamento del limite massimo di 35 giorni all’anno.
Quest’invidiabile caratteristica, che si accompagna ad altre rare qualità di queste zone del nostro Paese (scarso traffico veicolare, bassa densità abitativa, bassi livelli di rumore, bel paesaggio, clima mite, buona cucina, ottima accoglienza, produzioni agro-alimentari di qualità) ricercate da turisti e villeggianti, da qualche tempo è sotto attacco a causa del proliferare di progetti e costruzioni di centrali termoelettriche alimentate a biomasse legnose.
Questa novità interessa in particolare le zone collinari e montane del nostro paese, dove la “pulizia” di grandi boschi è diventata la scusa per realizzare facili guadagni usando la legna per produrre energia elettrica, pratica che gode d’interessanti incentivi pubblici, garantiti dal Gestore dell’Energia per almeno 15 anni.
Poiché non tutti lo sanno, è utile ricordare che questi soldi vengono da una tassa sulla bolletta della luce (denominata A3), introdotta nel 1999 per incentivare le fonti di energia rinnovabile e che, mediamente, pesa nel bilancio famigliare con 83 euro all’anno, usati per alimentare il mercato dei “Certificati Verdi”.
Grazie ai Certificati Verdi chi produce elettricità da fonti rinnovabili, riceve dal Gestore della Rete un compenso, per ogni chilowattore immesso in rete, circa tre volte maggiore di quello pagato all’elettricità da fonte fossile (carbone, metano).
Quanto pesa una centrale a biomasse sul territorio che le ospita La normativa a tutela dell’ambiente e della salute richiede alle Regioni di redigere piani di risanamento dell’aria.
Tra gli strumenti tecnici utili per redigere il piano di risanamento è prevista la stima delle emissioni d’inquinanti prodotti annualmente dalle principali fonti civili ed industriali presenti sul territorio di ciascun comune.
In questo modo si valuta la pressione ambientale che queste attività esercitano sul territorio e si possono facilmente individuare le priorità d’intervento.
Questa stima si realizza tramite un censimento di tutte le fonti emissive e il successivo calcolo dell’inquinamento prodotto annualmente da ciascuna fonte a cui si applicano specifici fattori di emissione, elaborati a livello europeo
In questo capitolo prenderemo due centrali a biomassa, che denomineremo Centrale A e Centrale B, recentemente proposte nel centro Italia.
I Comuni che dovrebbero ospitarle si trovano in aree collinari, con importanti superfici boscate, in un contesto a prevalente attività agricola e turistica.
La popolazione dei Comuni che dovrebbero ospitare le due centrali è, rispettivamente di 7.500 e 1.500 abitanti.
In entrambi i Comuni, gli standard di qualità dell’aria degl’inquinanti primari sono ampiamente e costantemente rispettati.
Le due centrali, hanno una potenza elettrica installata, inferiore a 1 Mega watt (1000 Kilo watt) e utilizzano biomasse legnose (centrale A 18.000 ton/anno; centrale B: 11.400 ton/anno).
Per produrre elettricità le centrali utilizzano due diverse tecnologie: forno a griglia nella Centrale A; piro-gassificazione della biomassa e uso del gas prodotto (syngas: miscela di ossido di carbonio e metano) per alimentare motori a combustione interna abbinati ad alternatori, nella Centrale B.
Entrambe le centrali prevedono moderne linee di trattamento fumi: catalizzatori per ridurre gli ossidi di azoto e filtri a maniche per le polveri sottili
Le due centrali producono prevalentemente elettricità che è immessa nella rete elettrica e, in entrambi i progetti, non si prevedono significativi recuperi di calore per il tele-riscaldamento degli edifici e abitazioni.
Per entrambi le centrali sono state calcolate le quantità d’inquinanti che immetteranno nell’ambiente durante il loro funzionamento che è previsto continuo per 24 ore su 24, con le sole interruzioni programmate per la manutenzione degli impianti, stimati pari a una trentina di giorni all’anno.
Il calcolo delle emissioni annuali è stato fatto in base alle concentrazioni medie degli inquinanti presenti nei fumi, valori dichiarati dai proponenti, e alla portata dei camini. In tutti i due casi le concentrazioni di inquinanti, in uscita dai camini, sono ampiamente inferiori ai limiti di legge.
CON LE CENTRALI A BIOMASSE COME CAMBIA LA QUALITÀ DELL’ARIA?
Ovviamente l’immissione in atmosfera di diverse tonnellate di’inquinanti peggiorerà la qualità dell’aria dei territori sottovento agli impianti.
Gli stessi proponenti confermano che le concentrazioni medie al suolo aumenteranno, ma poiché la somma dell’attuale inquinamento e di quello nuovo prodotto dalle centrali comporterà valori inferiori ai limiti di Legge, questo peggioramento è considerato accettabile.
Le Aziende Locali Sanitarie (ASL), a cui è delegato il parere sanitario sugli impianti, hanno fatto proprie queste affermazioni e di fatto autorizzato l’inquinamento.
Stupisce che l’autorizzazione delle ASL all’entrata in funzione delle centrali a biomasse non abbia tenuto conto delle recentissime raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che, alla luce di studi epidemiologici condotti in Europa, ha riconosciuto che rischi sanitari gravi sono stati riscontrati anche a concentrazioni di PM2,5 inferiori a 10 ug/m3, ossia inferiori ai limiti che la nostra Legislazione prevede di introdurre nel 2020.
Riteniamo anche discutibile che le ASL non abbiano tenuto conto della possibile presenza di aree sensibili, nelle immediate vicinanze delle centrali, quali scuole e impianti sportivi.
In questi casi, quanto meno, riteniamo che sarebbe stato doveroso, da parte delle ASL, invocare il Principio di Precauzione a tutela della salute della popolazione più giovane.
Le stesse ASL, conseguentemente, avrebbe dovuto esprimere un proprio giudizio negativo rispetto al fatto che l’attività delle centrali non preveda efficaci interventi di teleriscaldamento.
L’utilizzo del calore a bassa temperatura (pari a circa l’80% del potere calorifico del cippato utilizzato), con un adeguato dimensionamento dell’impianto, durante il periodo invernale, avrebbe potuto permettere lo spegnimento di numerosi impianti termici utilizzati nei due Comuni, in particolare quelli alimentati a legna.
Certamente impianti domestici alimentati a legna di vecchia generazione (camini aperti, stufe), a parità di calore prodotto, emettono in atmosfera una maggiore quantità d’inquinanti rispetto a quelli emessi dalle centrali a biomasse.
Una progettazione delle centrali che fosse partita dall’analisi dei bisogni energetici del territorio ospitante gli impianti, con una cogenerazione a misura delle esigenze locali, avrebbe potuto ottemperare agli obiettivi del D.lgs 155/2010, addirittura migliorando ulteriormente la qualità dell’aria del Comune ospitante, qualora le emissioni spente avessero un carico inquinante superiore a quello della centrale.
Verdetto storico dello IARC (Oms): "Inquinamento e polveri sottili certificati come fattori cancerogeni"
Non solo l'inquinamento in generale ma anche le polveri sottili sono state dichiarate cancerogene per gli esseri umani, perché causano un aumento del rischio di tumore ai polmoni. “Ora non si può più indugiare, bisogna agire per ridurre una delle principali cause di morte”, fanno sapere dall'IARC, agenzia dell'Oms.
18 OTT - Ormai è ufficiale, quello che molti pensavano già da tempo: l'inquinamento atmosferico è cancerogeno per gli esseri umani. A definirlo così e catalogarlo nel “gruppo 1”, quello che contiene le sostanze più pericolose, è stata l'agenzia dell'Oms specializzata per il cancro, ovvero l'IARC (International Agency for Research on Cancer), a seguito di un'attenta revisione di tutta la letteratura scientifica sull'argomento. Allo stesso modo, insieme all'inquinamento in generale, anche il particolato atmosferico, ovvero le cosiddette polveri sottili – che sono una delle componenti che causano “cattiva aria” – è stato separatamente revisionato e dichiarato cancerogeno.
Il motivo è semplice: dagli studi analizzati emerge in maniera chiara che sia l'inquinamento atmosferico che le piccole particelle che lo compongono aumentano il rischio di cancro ai polmoni, e in qualche caso anche alla vescica. E che, sebbene la composizione dell'aria inquinata cambi molto da luogo a luogo, questo problema è presente in qualche misura in tutte le regioni del mondo. In altre parole, si tratta della sostanza cancerogena più diffusa al mondo. “L'aria che respiriamo si è riempita di diversi tipi di agenti che favoriscono l'insorgenza di tumori”, ha spiegato Kurt Straif, a capo della sezione dell'IARC dedicata alle monografie, che ha pubblicato l'ultima revisione della letteratura. “Oggi sappiamo che questo non solo un rischio generico per la salute, per quanto grande, ma è una delle principali cause ambientali della morte per cancro”. Le sorgenti principali sono infatti trasporti, centrali elettriche, emissioni industriali e agricole e anche riscaldamenti e cucine. Tuttavia, precisano gli esperti, alcuni agenti inquinanti hanno anche fonti naturali. “Classificare l'inquinamento come carncerogeno per gli esseri umani è un passo molto importante”, ha sotttolineato Christopher Wild, direttore IARC. “Ci sono metodi per ridurlo e, data la scala dell'esposizione, che colpisce tutto il mondo, la decisione dell'Oms dovrebbe dare un chiaro segnale alla comunità internazionale affinché agisca senza ulteriori indugi”.
Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, 223.000 morti in tutto il mondo, a cui vanno aggiunti circa 3 milioni di morti per tutte le altre malattie correlate al solo PM2.5, metà dei quali sono da attribuire ai pesanti inquinamenti da carbone, traffico e biomasse.
Il particolato atmosferico causa il cancro del polmone
http://www.registri-tumori.it/cms/it/node/2909
I dati forniti da decine di lavori nel corso degli anni lo avevano anticipato, ora la IARC lo certifica: l’inquinamento causa il cancro del polmone.
Dopo settimane di lavoro di vaglio della copiosa letteratura prodotta in tema di inquinamento ambientale, gli esperti IARC convenuti a Lione in ottobre da decine di Paesi sono giunti a una (anzi, due) conclusioni. La prima: “Esistono prove sufficienti (sufficient evidence) che l’inquinamento atmosferico sia cancerogeno per gli esseri umani. L’inquinamento atmosferico causa il cancro del polmone”. E non si sono fermati qui. Siccome avevano a disposizione dati in numero sufficiente e di buona qualità per valutare una delle decine di componenti della miscela che costituisce l’inquinamento atmosferico, il particolato (PM 2,5 e PM10), hanno aggiunto: “Esistono prove sufficienti (sufficient evidence) che il particolato atmosferico sia cancerogeno per gli esseri umani. Il particolato atmosferico causa il cancro del polmone”.
Ambedue, inquinamento e PM, sono inseriti da ora in avanti nel Gruppo 1 della classificazione IARC.
Tutto questo lavoro sarà pubblicato nel volume 109 delle Monografie IARC che viene presentato oggi, 24 ottobre 2013, sulle pagine di Lancet Oncology.
DALLA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO UNO STUDIO DELL'UNIVERSITA' LOCALE:
Il Piano Provinciale di Tutela della Qualità dell'aria, approvato nel 2007 dalla Provincia Autonoma di Trento e redatto in collaborazione con l' Università di Trento, affronta in modo organico il problema delle fonti inquinanti presenti sul territorio e suggerisce diverse azioni finalizzate a garantire, su tutta la provincia, il rispetto dei limiti di legge per la qualità dell'aria.
Limiti che, nel 2005, risultavano poco rispettati su gran parte del territorio di propria competenza. Ad esempio, nel 2005, tutte le sette centraline attive, in gran parte in aree definite "background urbano", segnalavano netti superamenti dei limiti di legge per le PM10,
Di seguito riportiamo, in corsivo, alcuni stralci del Piano. Nel settore dell'energia, il Piano prevede: - promozione della conversione a metano di impianti civili ed industriali - completare la rete di metanizzazione sul territorio provinciale -promuovere la realizzazione di impianti e reti di teleriscaldamento (fonti rinnovabile e metano) - promuovere la gestione e/o l'adeguamento degli impianti termici per il miglioramento della qualità ambientale, il contenimento dei consumi energetici e lo sviluppo di fonti rinnovabili.
Vediamo, in dettaglio, alcune delle azioni previste: - Promozione della conversione a metano di impianti termici civili ed industriali e il completamento della rete di distribuzione del metano per il riscaldamento (l'Università di Trento conferma che il metano è il combustibile meno impattante, in particolare per le polveri sottili (PM10) ndr)
Il metano è favorito in quanto può essere impiegato con caldaie ad alta efficenza termica e questo comporta risparmi di gas e ovviamente di inquinamento.
Le caldaie a metano ad alta efficenza sono da preferire in quanto inquinano molto meno degli impianti a combustibili liquidi e solidi. La nuova rete del gas si dovrà realizzare nelle zone dove l'inquinamento è maggiore e sostituirà il gasolio.
Poichè gran parte dei centri urbani sono metanizzati, il contributo alla riduzione dell'inquinamento globale della Provincia di questo intervento si "limiterà" a 8 tonnellate/anno di PM10.
- Incentivazione alla sostituzione di impianti a legna domestici più inquinanti con tecnologie ad alta efficenza La sostituzione degli impianti a legna tradizionali con altri alimentati a metano comporterebbe una drastica riduzione delle emissioni di particolato, ma la non completa copertura del territorio con la rete di distribuzione del metano e la notevole disponibilità di combustibile legnoso inducono a pensare che sia opportuno uno sfruttamento sostenibile di questa risorsa. La sostituzione di tutti gli impianti a legna più inquinanti con impianti moderni, alimentati a legna comporterebbe la riduzione di 1.145-1. 264 tonnellate/anno di PM10
- favorire la diffusione di impianti di teleriscaldamento a biomassa nelle località non raggiunte dalla rete del gas metano La realizzazione di impianti di teleriscaldamento alimentato con cippato, principalmente derivante da scarti di attività industriali (segherie, falegnamerie...) o agricole (residui di potature, ramaglie..) porta ad una riduzione delle emissioni se ubicati in zone non servite dal metano ed installati in sostituzione di apparecchi privati obsoleti. Se ne dovranno valutare gli effettivi vantaggi in zone gia servite dalla rete del gas, in particolare per le emissioni di PM10 e SO2. La realizzazione di reti di teleriscaldamento alimentate a biomasse potrebbero comportare la riduzione di 30 tonnellate/anno di PM10
COMMENTO Dal 1995 al 2004, nella provincia di Trento (Figura 1) la principale fonte di PM10 sono stati gli impianti di combustione non industriali (riscaldamento domestico) che nel 2004 hanno prodotto 1.473 tonnellate di polveri sottili (il 55% delle emissioni totali di polveri). Nonostante che metano e gasolio siano le principali fonti energetiche utilizzate per il riscaldamento domestico, la maggior parte di queste polveri (stima: 1.145 - 1.264 tonnellate) sono prodotte dagli impianti di riscaldamento alimentate a legna di tipo tradizionale. All'uso della legna per il riscaldamento sono da attribuire anche gran parte dei 464 chili di benzopirene, stimati essere emessi nel territorio trentino durante il 2004, su un totale di 489 chili di benzopirene emessi da tutte le fonti (4,15 kg di benzopirene sono attribuiti al traffico). Pertanto, anche per la provincia di Trento, come in Lombardia e nel resto d'Europa, si conferma come l'uso energetico della legna sia stata la principale fonte di inquinamento dell'aria in particolare per le polveri sottili e il benzopirene. Nella provincia di Trento, il traffico, nel suo complesso, è la seconda fonte di polveri sottili, con 944 tonnellate nel 2004, pari al 34% del totale delle emissioni di PM10. Come già avvenuto in numerosi altri paesi come Svezia, Stati Uniti, anche nel Trentino, non potendo utilizzare il metano come fonte energetica, nei paesi non serviti dalla rete di distribuzione del gas, si cerca, in modo razionale, di ridurre il problema incentivando la sostituzione di impianti termici tradizionali con impianti più efficienti.
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