LA CRISI IN UCRAINA:
Le divisioni etniche
In rosso le zone a predominanza ucraina
In giallo e marrone le zone a predominanza russa
Con 7 paesi potenzialmente candidati si tratta del principale strumento di politica estera dell'Ue
Da quel che si dice, il miglior attacco è la difesa. Forse è per questo motivo che il primo step della politica estera dell’Unione europea si chiama processo di allargamento. Si partì all’origine con 6 paesi, con l’arrivo della Croazia si è arrivati a 28, ma l’obiettivo finale è molto, molto più di ciò.
L’allargamento è volto ad inglobare gli Stati limitrofi all’interno dei confini comunitari e, fissando rigidi condizioni ed una precisa condizionalità, dar loro l’opportunità di aderire al lungimirante progetto europeo. In attesa di un referendum in merito all’adesione all’Ue, l’Islanda ha sospeso le trattative, ma vi sono altri 7 paesi –Montenegro, Serbia, Macedonia, Turchia, Kosovo, Bosnia, Albania- che sono già candidati o potenziali candidati. Dopo essersi assicurata i paesi dell’ex Jugoslavia, l’Ue ha tutta l’intenzione di continuare ad espandersi, anche verso est.
I paesi dei Balcani meridionali che intendono avviare il processo di adesione devono sottoscrivere con l’Ue i cosiddetti Accordo di Associazione (AA) e l’Ampia e Comprensiva Area di Libero Scambio (DCFTA), ovvero accordi volti a conseguire, mediante un’associazione politica e un’integrazione economica, l’avvicinamento della legislazione nazionale a quella europea. Brussels, nonostante la Georgia e la Moldavia –di cui probabilmente la maggior parte degli europei ignora sia la capitale che la posizione geografica- abbiano già sottoscritto l’Accordo di Associazione, non è ancora soddisfatta, finché anche un altro paese –di cui la capitale è ormai cronaca giornaliera- completerà l’ultimo atto formale della sottoscrizione.
Nel 1998 Ucraina e Unione europea si legarono con l’Accordo di Partnership e Cooperazione e nel marzo 2007, le due parti avviarono le trattative per un maggiore livello di relazioni: l’Accordo di Associazione. E nel febbraio 2011, dopo l’entrata dell’Ucraina nel WTO, Bruxelles e Kiev avviarono anche la discussione sull’elemento chiave dell’Accordo di Associazione, l’Ampia Area di Libero Scambio (DCFTA). Ma a novembre 2013, prima degli ultimi passi per concludere le trattative e ratificare l’accordo, il governo rappresentato da Yanunkovich ha ritenuto che le condizioni dell’accordo erano troppo poco vantaggiose per la sua nazione ed ha fatto marcia indietro, chiedendo un time out e posticipando la stipula dell’accordo a tempo indefinito.
L’accordo in questione è un testo di oltre 1200 pagine che comprende tutte le politiche, le modalità e le tempistiche necessarie a riformare l’Ucraina e portarla verso una progressiva sovrapposizione alla normativa comunitaria. I valori ed i principi che caratterizzeranno le fondamenta della relazione, la cooperazione nella gestione dei confini, gli scambi commerciali, la convergenza nella politica estera e di sicurezza, la cooperazione sia economica che finanziaria e le riforme istituzionali sono i punti principali dell’Accordo tra l’Ue e l’Ucraina. Kiev sarebbe anche disposta a mettere nelle mani di Brussels tutto il suo settore energetico –uno degli obiettivi principali della politica estera comunitaria- ma vorrebbe più benefici dall’Ampia Area di Libero Scambio (DCFTA) e maggior sostegno finanziario per intraprendere e portare a termine le riforme necessarie per adeguarsi all’acquis comunitario.
Kiev chiede 20 miliardi di dollari entro il 2017 e 160 miliardi per concludere il processo di riforma e vorrebbe che la maggior parte del debito venga richiesto al Fondo Monetario dalla Comunità europea e non dallo Stato ucraino. Brussels dal canto suo, è pronto a facilitare il prestito con il Fondo Monetario e concedere poco più di 610 milioni a Kiev, rifiutandosi di prendere in considerazione sia le cifre richieste dal governo Yanunkovich che di accollarsi il futuro debito con il FMI.
Tra le richieste per la firma dell’Accordo c’è anche la liberazione della Tymoshenko, la quale dal carcere ha incitato il popolo allo sciopero, finché Yanunkovich non avrà ratificato l’accordo con Bruxelles. Il 9 dicembre il presidente Barroso ha dichiarato che “quando vediamo nelle gelide strade di Kiev uomini e donne con la bandiera europea, che lottano per quella bandiera, è perché sono consapevoli che l’Europa non è soltanto un luogo di opportunità per lo sviluppo economico, ma anche un luogo dove c’è speranza e libertà”. Il giorno dopo Stefan Fule, commissario per l’allargamento ha detto che “le recenti settimane hanno dimostrato che la gran parte del popolo ha le idee chiare sul futuro dell’Ucraina ed è determinata a difendere la sua scelta esercitando una pacifica rivendicazione dei loro diritti.
Lo spirito di associazione che si è creato vale probabilmente milione di volte un semplice segno di penna”. Il 15 dicembre è stato il turno del senatore John McCain ad alimentare la disputa, presentandosi in P.zza Indipendenza a Kiev e sovrastando la folla in protesta, ha urlato: ”siamo qui per supportare la vostra giusta causa, l’Ucraina renderà l’Europa migliore e l’Europa renderà l’Ucraina migliore. Quello che vogliamo è una pacifica transizione, condizione per fermare le violenze e dare al popolo ucraino quello che non hanno mai avuto, una vera società”, ed ha concluso il suo discorso affrontando il nocciolo della questione. Kissinger una volta disse che la Russia senza l’Ucraina è una potenza orientale. Con l’Ucraina invece, la Russia diventa una potenza occidentale.
L’ingerenza e la pressione nelle scelte politiche ucraine da parte dell’Unione e del suo alleato N°1 sono proseguite con le parole dell’Alto Rappresentante Catherine Ashton: condanno l’uso della forza –da parte del governo-, è inacettabile, specialmente quando il popolo protesta pacificamente. Credo che i cittadini di questa nazione merita meglio di ciò”. In tutto ciò la Russia non è rimasta spettatore, proponendo una riduzione dei costi del gas e un pacchetto di aiuti economici, ha fatto la sua controproposta a Kiev, tentando di limitare l’avanzata occidentale nel suo avamposto più strategico.
Dopo i paesi dell’ex Jugoslavia e la Turchia, Georgia, Moldavia e Ucraina sono gli obiettivi fondamentali del primo step della politica estera europea. Allargare il proprio territorio è un modo per “sfruttare le opportunità che si presentano e conseguire i propri interessi”, come enunciato dalla Costituzione europea.
IL PRESIDENTE RUSSO: «PRONTI A INVIARE TRUPPE PER DIFENDERE RUSSI IN UCRAINA»
Crimea, alta tensione tra Usa e Russia Putin: in Ucraina c’è stato un golpe armato Il Cremlino fa rientrare le truppe sul confine. Obama: «Mosca dal lato sbagliato della storia». Stop sconti Gazprom per Kiev
In piena crisi ucraina, Vladimir Putin ha ordinato il rientro nelle rispettive basi permanenti alle forze russe impegnate nelle esercitazioni militari a sorpresa, iniziate il 26 febbraio scorso nelle regioni occidentali e centrali della Federazione russa: lo ha annunciato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, secondo cui le relative disposizioni sono state impartite dal presidente, in quanto supremo comandante in capo, dopo essere stato informato dell’esito positivo delle manovre.
COLPO DI STATO - Il leader del Cremlino ha anche definito la caduta dell’ormai ex presidente ucraino Viktor Ianukovich «un’azione incostituzionale» e «una presa del potere con le armi» anche se Ianukovich «non ha avvenire politico». Al momento per Putin «non c’è la necessità» di inviare truppe russe in Ucraina, anche se «la possibilità rimane». Il presidente russo ha aggiunto che «la Russia si riserva il diritto di ricorrere a tutti i mezzi per proteggere i russi in Ucraina». Una eventuale decisione di impiegare le forze armate russe in Ucraina sarà «legittima» ha detto ancora il leader del Cremlino precisando di avere già «una richiesta del presidente legittimo» Ianukovich. La Russia tuttavia, secondo Putin, non prende in considerazione l’annessione della Crimea. Il futuro della Crimea, ha aggiunto Putin, è nelle mani dei residenti della regione. Ma ogni eventuale decisione di intervenire in Crimea, ha detto ancora Putin, sarà «legittima» e da considerare come una «missione umanitaria». Putin ha comunque assicurato che la Russia non provocherà movimenti separatisti in Crimea. «Non sono soldati russi» quelli che circondano le basi militari ucraine in Crimea. ha sottolineato ancora Putin. Poi rivolto agli Usa e ai loro alleati (tutti i membri del G7) che minacciano di non partecipare al G8 di Sochi, Putin ha dichiarato: «Siamo pronti a tenere il G8, ma i nostri partner non vogliono venire, non vengano». Quanto alla possibilità di sanzioni contro la Russia, Putin avverte: «Chi vuole introdurre le sanzioni contro la Russia deve pensare alle loro conseguenze perché i danni saranno reciproci».
KERRY A KIEV - Intanto il segretario di Stato americano, John Kerry, è partito da Washington per l’Ucraina: l’arrivo a Kiev è previsto per le 13 ora italiana di martedì. E tra le notizie che arrivano da Mosca, ci sarebbe anche l’annuncio della cancellazione dello sconto sul gas concesso a dicembre all’Ucraina e che ha fatto scendere il prezzo del metano da circa 400 a 268,5 dollari per mille metri cubi. Lo fa sapere l’ad di Gazprom Alexiei Miller citato dall’agenzia Itar-Tass.
ALTA TENSIONE - Certo è che la crisi Ucraina e l’occupazione di fatto della Crimea da parte dei militari russi - per i quali la regione è strategica sia per dal punto di vista delle risorse che geopoliticamente - ha fatto innalzare la tensione internazionale. Nella notte è arrivato il duro monito del presidente Usa Barack Obama secondo cui, schierando l’esercito in Ucraina, la Russia si è messa «dal lato sbagliato della storia». La Russia «non può schierare impunemente soldati sul terreno in Ucraina e violare principi riconosciuti in tutto il mondo», ha insistito Obama, ribadendo che Mosca «ha violato le norme internazionali e la sovranità territoriale» dell’ex repubblica sovietica.
LE «SANZIONI» USA - Intanto, mentre l’Ue si prepara a discutere di eventuali sanzioni contro la Russia (giovedì è stato convocato il Consiglio Ue) gli Stati Uniti hanno deciso di congelare ogni forma di cooperazione militare con la Russia «alla luce dei recenti eventi in Ucraina». Il Pentagono ha precisato che la sospensione riguarda tra l’altro «le esercitazioni, gli incontri bilaterali, le visite ai porti e la pianificazione di conferenze». Non solo: l’amministrazione di Washington ha altresì bloccato tutti i colloqui in materia di scambi bilaterali e di investimenti con Mosca, come reso noto dall’Ufficio per il Commercio Estero.
CRIMEA - La Crimea potrebbe diventare presto non tanto uno stato indipendente, quanto una regione russa. In tutto o in parte. Sebastopoli infatti voterà il 30 marzo un referendum diverso da quello che sarà sottoposto agli elettori della Crimea: il quesito, a meno di sorprese, sarà per l’adesione alla Russia. Lo sostiene Ivan Komelov, membro della commissione incaricata di redigere il quesito referendario: l’annuncio, ha detto, tra pochi giorni.
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