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BORGO A MOZZANO - Piano di Gioviano, SP2 Lodovica.

LETTORI SINGOLI

venerdì 5 aprile 2019

I PIANETI GIGANTI: GIOVE - SATURNO - URANO - NETTUNO. By Andreotti Roberto e con video di Fabio Bellardini.


I quattro giganti gassosi esterni (talvolta chiamati pianeti gioviani, e da non confondersi con i pianeti esterni) collettivamente costituiscono il 99% della massa nota in orbita attorno al Sole. Giove e Saturno sono costituiti prevalentemente da idrogeno ed elio; Urano e Nettuno possiedono una percentuale maggiore di ghiaccio ed alcuni astronomi suggeriscono che appartengono a un'altra categoria, quella dei "giganti di ghiaccio".
Tutti e quattro i giganti gassosi possiedono degli anelli, anche se solo quelli di Saturno sono facilmente osservabili dalla Terra.
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Aggiornato il 08/05/2021

VIDEO INTRODUZIONE:


I Pianeti Esterni offerto da Fabio Bellardini
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Giove


                                                                                                                                      
Jupiter New Horizons.jpg

Giove (5,203 UA), con 320,33 masse terrestri, possiede 2,5 volte la massa di tutti gli altri pianeti messi insieme.
Compie una rivoluzione intorno al Sole ogni 11,864 anni.
Giove ed i suoi satelliti ricevono 50,16 W/m2 di energia dal Sole.

DIMENSIONI:
Ha un diametro equatoriale di 142.984 km ed un diametro polare di 133.709 km.
Ha un forte schiacciamento ai poli a causa anche della rapida rotazione (9h 55' 29,5'').
L'inclinazione dell'asse di rotazione è relativamente piccola, solamente 3,13º, e precede ogni 12 000 anni, di conseguenza, il pianeta non sperimenta significative variazioni stagionali, contrariamente a quanto accade sulla Terra e su Marte.


Un Potente Campo Magnetico:
Creato dalle correnti elettriche all'interno del mantello di idrogeno metallico si genera un campo magnetico dipolare, inclinato di 10º rispetto all'asse di rotazione di Giove.
Il campo raggiunge un'intensità variabile tra 0,42 millitesla - mT - all'equatore e 1,3 mT ai poli, che lo rende il più intenso campo magnetico del sistema solare, eccetto quello nelle macchie solari, e ben 14 volte superiore al campo magnetico terrestre.
Il campo magnetico di Giove preserva la sua atmosfera dalle interazioni con il vento solare deflettendolo e creando una regione appiattita, la magnetosfera, costituita da un plasma di composizione molto differente da quello del vento solare.
La magnetosfera gioviana è la più grande e imponente fra tutte le magnetosfere dei pianeti del sistema solare, nonché la struttura più grande di tutto il sistema, apparte il Sole e si estende nel sistema solare esterno per molte volte il raggio di Giove (RJ) e raggiunge un'ampiezza massima che può superare anche l'orbita di Saturno.

Le correnti elettriche delle fasce di radiazione generano delle emissioni radio di frequenza variabile tra 0,6 e 30 MHz, che rendono Giove un'importante radiosorgente. Le prime analisi, condotte da Burke e Franklin, rivelarono che l'emissione è caratterizzata da flash intorno ai 22,2 MHz e che il loro periodo coincideva con il periodo di rotazione del pianeta, la cui durata fu quindi determinata con maggiore accuratezza. Essi riconobbero inizialmente due tipologie di emissione: i lampi lunghi (long o L-bursts), della durata di alcuni secondi, e i lampi corti (short o S-bursts), che durano poco meno di un centesimo di secondo.
Sono state in seguito scoperte altre tre forme di segnale radio trasmesse dal pianeta:
  • Esplosioni radio decametriche (con lunghezze d'onda di decine di metri), che variano con la rotazione del pianeta e sono influenzate dalle interazioni tra Io e la magnetosfera gioviana.
  • Emissioni radio decimetriche (con lunghezze d'onda di alcune decine di centimetri), la cui origine è stata imputata alla radiazione di ciclotrone emessa dagli elettroni accelerati dal campo magnetico in un'area toroidale che ne circonda l'equatore.
  • Irraggiamento termico prodotto dal calore dell'atmosfera del pianeta.
La forte modulazione periodica dell'emissione radio e particellare, che corrisponde al periodo di rotazione del pianeta, rende Giove affine ad una pulsar.[146] È bene comunque considerare che l'emissione radio del pianeta dipende fortemente dalla pressione del vento solare e, quindi, dall'attività solare stessa.


Giove è la fonte delle più forti emissioni radio planetarie nel sistema solare.
Le variazioni di queste emissioni sono sintomatiche delle dinamiche della magnetosfera di Giove e alcune sono state direttamente associate alle Aurore di Giove.
Le emissioni radio più forti sono associate all'interazione di io con il campo magnetico di Giove.
Inoltre, le onde plasmatiche sono pensate per svolgere ruoli importanti nell'accelerazione delle particelle energetiche nella magnetosfera, alcune delle quali influenzano l'atmosfera superiore di Giove generando le aurore.




( In foto sopra le tempeste elettriche riprese dalla sonda JUNO ).

Composizione:
Giove è composto in larga parte da idrogeno ed elio.
Il forte calore interno di Giove crea una serie di caratteristiche semipermanenti nella sua atmosfera, come ad esempio la famosa Grande Macchia Rossa.
L'atmosfera alta di Giove è composta in volume da un 88-92% di idrogeno molecolare e da un 8-12% di elio.
Queste percentuali cambiano se si tiene in considerazione la proporzione delle masse dei singoli elementi e composti, dal momento che l'atomo di elio è circa quattro volte più massiccio dell'atomo di idrogeno, quindi l'atmosfera gioviana è costituita da un 75% in massa di idrogeno e da un 24% di elio, mentre il restante 1% è costituito da altri elementi e composti presenti in quantità molto più esigue.
Le proporzioni atmosferiche di idrogeno ed elio sono molto vicine a quelle riscontrate nel Sole .


Emissione di calore:
Giove emette più calore di quello che riceve mentre si rimpiccolisce.
Ma perché si rimpicciolisce? E da dove viene l’energia che disperde nello spazio?
Bene, dovete sapere che i due fenomeni sono connessi, e dipendono da quello che viene chiamato Meccanismo Kelvin – Helmholtz, dal nome dei due scienziati che lo studiarono, William Thomson, primo barone Kelvin (si proprio lui, quello dello “zero assoluto”) fisico britannico e Hermann Ludwig Ferdinand von Helmholtz fisico tedesco.
Il meccanismo Kelvin – Helmholtz è un processo astronomico che si verifica quando la superficie di un pianeta gassoso si raffredda.
Tale raffreddamento causa una diminuzione della pressione idrostatica e, conseguentemente, il pianeta si restringe, si comprime.
Questa compressione, ha come conseguenza il riscaldamento del nucleo del pianeta.
Tale meccanismo è evidente per pianeti come Giove o Saturno o anche sulle nane brune, in pratica corpi le cui temperature al nucleo non sono sufficienti per provocare la fusione nucleare.
Dunque, la superficie di Giove si “raffredda”, e il pianeta compensa, questo “raffreddamento”, e la conseguente diminuzione della pressione, comprimendosi.

Giove si comprime di circa 2 cm all'anno.

Questa compressione ha come conseguenza il riscaldamento del nucleo planetario, il che provoca un incremento della quantità di calore emessa; come risultato si ha che il pianeta irradia nello spazio una quantità di energia superiore a quella che riceve dal Sole.

Il rapporto emissione/insolazione è pari a circa 1,67.

Una importante conseguenza di ciò è che si ritiene che, agli “inizi” del Sistema Solare, il pianeta dovesse essere grande più o meno il doppio rispetto ad ora.
Inizialmente, verso la fine del 19° secolo, tale meccanismo venne ipotizzato come la causa, l’origine dell’energia del Sole e delle stelle; dovete ricordarvi che ai tempi non si conosceva la fusione nucleare.
Ma ci si rese conto abbastanza presto che tale meccanismo generava un’energia troppo esigua per poter essere il responsabile della generazione dell’energia delle stelle.
Secondo i calcoli tale meccanismo avrebbe potuto fornire energia al Sole per qualche milione di anni, ma pur essendo questo un tempo molto più lungo di molti altri metodi fisici, come ad esempio l'energia chimica, questo valore ovviamente non era ancora abbastanza lungo visto che le prove geologiche e biologiche ci dicono che la Terra ha un’età di miliardi di anni.
Alla fine, nel 20° secolo è stato scoperto che l'energia termonucleare era responsabile della produzione di energia e della lunga vita delle stelle.
(Tratto dal post Facebook di Pino Pini).

Uno scontro fra titani:
La sonda Juno ha recentemente scoperto che il nucleo di Giove è più spappolato di quel che ci si aspettava. Una possibile spiegazione viene ora da uno studio, secondo cui il gigante gassoso ha subito nei sui primi milioni di anni di vita l’impatto frontale con un pianeta in formazione dalla massa pari a 10 volte quella terrestre.
Le rilevazioni della sonda Juno hanno mostrato come il campo magnetico del pianeta si presenti a spot, alternando regioni in cui l’intensità è molto elevata con altre in cui è invece assai debole. Un’evidenza che indica come il nucleo del pianeta, la cui rotazione genera il campo magnetico, sia meno denso e più esteso di quel che ci si aspettava.
Le teorie sulla formazione planetaria prevedono che Giove all’inizio fosse un pianeta denso roccioso o ghiacciato che ha progressivamente raggrumato attorno a sé la sua spessa atmosfera, rastrellandola nel disco di gas e polveri in cui è nato il Sole primordiale.
Quindi si è iniziato a pensare cosa potesse aver sconvolto a tal punto quel nucleo denso, ponendo l'ipotesi secondo cui la causa poteva essere un gigantesco impatto che aveva spappolato il nucleo, stemperandolo negli strati superiori, meno densi.
Lo scenario di collisione è diventato ancora più convincente con i risultati delle simulazioni dell’ipotetico impatto, che mostravano come una collisione avrebbe influenzato il nucleo di Giove. Tenendo conto che corpi approssimativamente delle dimensioni della Terra sarebbero stati sbriciolati completamente prima di arrivare al nucleo di Giove, in base alle simulazioni i ricercatori hanno dedotto che, per ottenere un profilo di densità del nucleo simile a quello misurato ora dalla sonda Juno, lo scenario più plausibile è quello dello scontro frontale con un planetesimo dieci volte più massiccio della Terra.


Anche se l’impatto è avvenuto 4.5 miliardi di anni fa, «ci potrebbero volere ancora molti, molti miliardi di anni affinché gli elementi più pesanti tornino a formare un nucleo denso.

LINK : https://www.nature.com/articles/s41586-019-1470-2 

Atmosfera:
L'atmosfera di Giove è la più estesa atmosfera planetaria del sistema solare, manca di un netto confine inferiore, ma gradualmente transisce negli strati interni del pianeta.
Dal più basso al più alto, gli stati dell'atmosfera sono: troposfera, stratosfera, termosfera ed esosfera; ogni strato è caratterizzato da un gradiente di temperatura specifico. Al confine tra la troposfera e la stratosfera, ovvero la tropopausa, è collocato un sistema complicato di nubi e foschie costituito da stratificazioni di ammoniaca, idrosolfuro di ammonio ed acqua.
L'atmosfera superiore di Giove è composta in volume da un 88-92% di idrogeno molecolare e da un 8-12% di elio. Queste percentuali cambiano se si tiene in considerazione la proporzione delle masse dei singoli elementi e composti, dal momento che l'atomo di elio è circa quattro volte più massiccio dell'atomo di idrogeno; l'atmosfera gioviana è quindi costituita da un 75% in massa di idrogeno e da un 24% di elio, mentre il restante 1% è costituito da altri elementi e composti presenti in quantità molto più esigue. La composizione varia leggermente man mano che si procede verso le regioni interne del pianeta, date le alte densità in gioco; alla base dell'atmosfera si ha quindi un 71% in massa di idrogeno, un 24% di elio e il restante 5% di elementi più pesanti e composti: vapore acqueo, ammoniaca, composti del silicio, carbonio e idrocarburi (soprattutto metano ed etano), acido solfidrico, neon, ossigeno, fosforo e zolfo. Nelle regioni più esterne dell'atmosfera sono inoltre presenti dei consistenti strati di cristalli di ammoniaca solida.


( Nel grafico la velocità e la direzione dei venti ).

Le Nubi:

La copertura nuvolosa di Giove è spessa all'incirca 50 km e consiste almeno di due strati di nubi di ammoniaca, uno strato inferiore piuttosto denso ed una regione superiore più rarefatta.
I sistemi nuvolosi sono organizzati in fasce orizzontali lungo le diverse latitudini, e si suddividono in zone, di tonalità chiara, e bande, le quali appaiono scure per via della presenza su di esse di una minore copertura nuvolosa rispetto alle zone.
La loro interazione dà luogo a violente tempeste, i cui venti raggiungono, come nel caso delle correnti a getto delle zone, velocità superiori ai 360-400 km/h.
La caratteristica colorazione marrone-arancio delle nubi gioviane è causata da composti chimici complessi, noti come cromofori, che emettono luce in questo colore quando sono esposti alla radiazione ultravioletta solare.

( Visione completa di Giove ).

Le tempeste:
Le continue tempeste di Giove sono enormi rispetto a quelle che si verificano sulla Terra, con fulmini che raggiungono un’estensione di 60 chilometri, cinque volte più alti dei tipici fulmini terrestri, e tre volte più energetici di quelli più potenti. Come accade per i fulmini terrestri, anche quelli di Giove agiscono come trasmettitori radio, inviando onde radio e luce visibile quando attraversano il cielo.

Un team di ricercatori guidato da Michael Wong dell’Università della California Berkeley, tra cui Amy Simon del Goddard Space Flight Center della Nasa e Imke de Pater di Berkeley, hanno combinato osservazioni a più frequenze di Hubble e Gemini con quelle riprese da Juno, scoprendo nuove e interessanti caratteristiche del turbolento gigante gassoso.

Mappando i fulmini rilevati da Juno sulle immagini di Hubble, oltre che su quelle a infrarossi catturate contemporaneamente da Gemini, il team è stato in grado di dimostrare che i fulmini sono associati a una combinazione di tre strutture nuvolose:
- nubi profonde cariche di acqua, 
- grandi torri convettive generate dall’aria umida in risalita, 
- regioni chiare presumibilmente generate dall’instaurarsi di una corrente verso il basso di aria più asciutta, fuori dalle torri convettive. 
I dati di Hubble mostrano l’altezza delle spesse nubi che costituiscono le torri convettive, nonché la profondità delle nubi cariche di acqua. I dati di Gemini rivelano chiaramente le zone più chiare nelle nubi, ai livelli più alti, dalle quali è possibile osservare le nubi più in profondità.

Queste immagini mostrano le osservazioni di Giove effettuate dal satellite Juno, dal telescopio spaziale Hubble e dall’Osservatorio Gemini, e una rappresentazione schematica delle strutture nuvolose e della circolazione atmosferica del pianeta dedotta dalle osservazioni. Combinando i dati dei tre strumenti, i ricercatori sono stati in grado di vedere che i fulmini si raggruppano in regioni turbolente dove ci sono nubi profonde cariche di acqua e dove l’aria umida si sta alzando per formare alte torri convettive simili a cumulonembi terrestri. L’immagine in basso mostra fulmini, torri convettive, nubi d’acqua profonde e radure nell’atmosfera di Giove. È basata sui dati di Juno, Hubble e Gemini e corrisponde alla sezione indicata con i due segmenti bianchi e le lettere T, C e W, nella mappa di Hubble e Gemini. La combinazione delle varie osservazioni può essere utilizzata per mappare la struttura della nube in tre dimensioni e inferire i dettagli della circolazione atmosferica. Le nubi spesse e torreggianti si formano dove l’aria umida sta salendo (upwelling e convezione attiva). Le radure si formano dove l’aria più secca affonda (downwelling). Le nubi mostrate si elevano fino ad altezze cinque volte superiori a quelle delle torri convettive nell’atmosfera terrestre. La regione illustrata copre un’estensione orizzontale di circa 6500 chilometri. Crediti: Nasa, Esa, M.H. Wong (Uc Berkeley), A. James and M.W. Carruthers (Stsci), and S. Brown (Jpl) ).

Wong pensa che i fulmini siano comuni in aree turbolente conosciute come regioni filamentose ripiegate, dove presumibilmente si sta verificando una convezione umida. «Questi vortici ciclonici potrebbero essere come delle ciminiere, contribuendo a rilasciare energia interna attraverso la convezione», spiega. «Non succede dappertutto, ma qualcosa in questi cicloni sembra facilitare la convezione». La capacità di correlare i fulmini con le nubi d’acqua profonde offre ai ricercatori un altro strumento per stimare la quantità di acqua presente nell’atmosfera di Giove, fondamentale per capire come si sono formati Giove e gli altri giganti gassosi e ghiacciati del Sistema solare, e come si è formato il Sistema solare stesso.

LINK : High-resolution UV/Optical/IR Imaging of Jupiter in 2016–2019” 

Precipitazioni:
Su Giove, si verificano violenti temporali con grandine di ammoniaca.
Questa è una nuova teoria, che è stata sviluppata utilizzando i dati del radiometro a microonde della sonda Juno della NASA, secondo cui i relativi ''funghi'' svolgono un ruolo chiave nelle dinamiche atmosferiche.

L’acqua è una sostanza importante nella meteorologia dei vari pianeti e si crede che svolga un ruolo fondamentale nella loro formazione ed accrescimento.
Come sulla Terra, l’acqua di Giove è mossa dai temporali e si ritiene che questi si formino all’interno della profonda atmosfera del pianeta, a circa 50 chilometri sotto le nubi visibili, dove la temperatura è vicina agli 0°C. Quando queste tempeste si rivelano abbastanza potenti, fanno risalire cristalli di ghiaccio d’acqua portandoli nell’atmosfera superiore.


I ricercatori degli Stati Uniti del Laboratoire Lagrange suggeriscono che quando questi cristalli interagiscono con l’ammoniaca gassosa, quest'ultima agisce come un antigelo, trasformando il ghiaccio in un liquido.
Su Giove come sulla Terra, una miscela di 2/3 di acqua e 1/3 di ammoniaca rimarrà liquida fino a una temperatura di -100°C. I cristalli di ghiaccio vengono quindi sciolti dai gas più caldi, formando un liquido acqua-ammoniaca e diventano chicchi di grandine esotici, soprannominati “funghi” dai ricercatori.
Divenuti pesanti, cadono in profondità nell’atmosfera, fino a raggiungere un punto in cui evaporano. Questo meccanismo trascina l’ammoniaca e l’acqua fino a livelli profondi nell’atmosfera del pianeta.

Le misurazioni di Juno hanno scoperto che mentre l’ammoniaca è abbondante vicino all’equatore di Giove, è altamente variabile e generalmente si esaurisce altrove, a pressioni molto profonde.
Per spiegare la scoperta della profonda variabilità dell’ammoniaca nella maggior parte del pianeta, i ricercatori hanno sviluppato un modello di miscelazione atmosferica presentato in cui spiegano le variazioni osservate dalla sonda in funzione della latitudine.

Altri ricercatori riportano osservazioni di lampi gioviani da parte di una delle telecamere di Juno.
I piccoli lampi appaiono come punti luminosi sulle cime delle nuvole, con dimensioni proporzionali alla loro profondità nell’atmosfera. A differenza delle precedenti missioni che avevano osservato solo lampi da regioni profonde, la vicinanza della sonda al pianeta ha permesso di rilevare lampi più piccoli e poco profondi.
Questi bagliori provengono da regioni in cui le temperature sono inferiori a -66°C e dove l’acqua da sola non può essere trovata allo stato liquido. Tuttavia, si ritiene che la presenza di un liquido sia cruciale per il processo di generazione del fulmine.


La distribuzione dei fulmini su Giove è alla rovescia rispetto alla Terra. C’è molta attività vicino ai poli di Giove, ma nessuna vicino all’equatore. Ma perché succede questo?
I fulmini seguono il calore, ecco spiegato il comportamento su entrambi i pianeti.
La zona equatoriale sulla Terra è quella che riceve maggior calore dal Sole, ed è dunque più facile trovare violenti temporali e scariche di fulmini nell’atmosfera corrispondente a quelle aree.
Su Giove è leggermente diverso, perché il gigante gassoso riceve dal Sole 25 volte meno calore rispetto al nostro pianeta. Come sulla Terra, l’equatore è la zona più “calda”, ma non abbastanza da creare instabilità nell’atmosfera. Ai poli l’atmosfera è meno stabile e ciò permette ai gas caldi provenienti dall’interno di Giove di salire, favorendo la convezione e quindi i fulmini.
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IL SORVOLO DELLA SONDA JUNO:

GIOVE offerto da MEDIA INAF

LA GRANDE MACCHIA ROSSA

La Grande Macchia Rossa è una vasta tempesta anticiclonica, posta a 22° sotto l'equatore del pianeta Giove, che dura da almeno 300 anni. La tempesta, la più grande del sistema solare, è visibile dalla Terra anche con telescopi amatoriali.
La Grande Macchia Rossa ruota in verso antiorario, con un periodo di sei giorni terrestri, corrispondenti a 14 giorni gioviani. Misura 24-40 000 km da ovest ad est e 12-14 000 km da sud a nord. La macchia è sufficientemente grande da contenere tre pianeti delle dimensioni della Terra. All'inizio del 2004 la Grande Macchia Rossa aveva approssimativamente la metà dell'estensione longitudinale che aveva un secolo prima, quando misurava 40 000 km in diametro. All'attuale velocità di riduzione potrebbe diventare circolare nel 2040, sebbene ciò sia improbabile a causa degli effetti distorsivi delle correnti a getto vicine ad essa. Non è noto quanto possa durare la macchia o se i cambiamenti osservati siano il risultato di fluttuazioni normali.
Il diametro della Macchia Rossa è diminuito nel corso del XX secolo. Dall'inizio del XXI secolo pare ridursi ad un ritmo più elevato, di quasi 1000 km all'anno, e la forma sta cambiando da quella di un ovale a quella di un cerchio. La dimensione misurata nel senso da nord a sud è cambiata poco, mentre è diminuita notevolmente la dimensione da est a ovest. Se alla fine dell'ottocento sulla base di osservazioni storiche la Macchia Rossa aveva un diametro di 41 000 km, nel 1979 il diametro si era ridotto a circa 23 000 km al tempo del passaggio della Voyager 2, per poi diminuire ulteriormente nel 1995 a 20 000 e a 17 700 km nel 2009. È tuttavia a partire dal 2012 che si è osservato, dopo alcune segnalazioni di astronomi amatoriali, che la Macchia si sta riducendo a ritmi più serrati, di quasi 1000 km all'anno. In base a osservazioni compiute dal telescopio spaziale Hubble, nel 2014 il diametro massimo della Macchia Rossa è sceso a 16 500 km, il valore più piccolo mai misurato dagli astronomi.
Confronto con la Terra in scala ).

Osservazioni nell'infrarosso hanno indicato che la Grande Macchia Rossa è più fredda (e quindi, raggiunge altitudini maggiori) della maggior parte delle altre nubi sul pianeta (con una temperatura che è inferiore a −160 °C (113 K)); lo strato più alto di nubi della Grande Macchia Rossa svetta di circa 8 km dagli strati circostanti. Inoltre, la circolazione antioraria della macchia è attestata dal 1966 grazie ad un attento monitoraggio delle strutture atmosferiche gioviane ed è stata confermata dai primi filmati inviati dalle sonde Voyager.
Nel 2010, grazie ad un gruppo di ricerca guidato dall'Università di Oxford che si è servita del Very Large Telescope dell'ESO e del telescopio Gemini Sud (entrambi situati in Cile) e del telescopio giapponese Subaru nelle Hawaii i ricercatori hanno potuto osservare regioni della Grande Macchia Rossa di Giove mai osservate prima, notando che il colore più rosso corrisponde a un "nucleo" caldo all'interno di una tempesta più fredda, con linee scure ai confini della stessa dove i gas si inabissano nelle regioni più profonde del pianeta. Gli astronomi hanno ricostruito una mappa di temperatura, aerosol e ammoniaca della tempesta per comprendere come la circolazione cambia nello spazio e nel tempo. La parte centrale della macchia, di colore arancio-rosso, è di circa 3 o 4 gradi più calda rispetto all'ambiente circostante; questa differenza di temperatura è abbastanza marcata da permettere alla circolazione della tempesta, di solito antioraria, di cambiare senso divenendo debolmente oraria nella regione centrale. Anche in altre parti di Giove, la variazione di temperatura è sufficiente per alterare le velocità del vento e influenzare gli schemi di nubi nelle diverse fasce e zone. Sul suo confine meridionale la macchia è confinata spazialmente da una corrente a getto di modesta entità e diretta verso est (prograda) mentre sul suo confine settentrionale è confinata da una corrente a getto molto potente e diretta verso ovest (retrograda). Sebbene i venti intorno ai lati della macchia soffino a circa 120 m/s (430 km/h), le correnti all'interno di essa sembrano stagnanti, con pochi flussi in ingresso o in uscita. Il periodo di rotazione della macchia è diminuito col tempo, forse come conseguenza della costante riduzione nelle dimensioni.
La sonda JUNO ha analizzato la profondità della GMR ).

La latitudine della Grande Macchia Rossa è rimasta stabile per tutto il tempo in cui sono disponibili osservazioni attendibili, variando tipicamente entro un grado. La sua longitudine, tuttavia, varia costantemente. Poiché Giove non ruota uniformemente a tutte le latitudini (presenta infatti una rotazione differenziale come anche gli altri giganti gassosi), gli astronomi hanno definito tre differenti sistemi per definirne la latitudine. Il sistema era usato per le latitudini superiori ai 10° ed era originariamente basato sulla velocità media di rotazione della Grande Macchia Rossa, pari a 9h 55m 42s. Nonostante ciò, la macchia ha doppiato il pianeta nel II sistema almeno 10 volte dai primi dell'Ottocento. La sua velocità di deriva è cambiata sensibilmente negli anni ed è stata correlata alla luminosità della banda equatoriale meridionale (South Equatorial Belt, SEB) ed alla presenza o assenza di un disturbo tropicale meridionale (South Tropical Disturbance, STrD).
Evoluzione osservativa della GMR ).

Non è ancora noto cosa determini la colorazione rossa della macchia. Alcune teorie supportate da dati sperimentali suggeriscono che il colore possa essere causato da complesse molecole organiche, fosforo rosso o un composto dello zolfo. La Grande Macchia Rossa varia notevolmente in gradazione, dal rosso mattone al salmone pastello, ed anche al bianco. La macchia scompare occasionalmente, rimanendo evidente soltanto per il buco (Red Spot Hollow) che è la sua nicchia nella banda equatoriale meridionale (SEB). La visibilità della Macchia è apparentemente accoppiata con l'aspetto della banda equatoriale meridionale: quando la banda è di un bianco brillante, la macchia tende ad essere scura; quando la banda è di colore scuro, la macchia è abitualmente luminosa. I periodi in cui la macchia è scura o luminosa si ripetono con intervalli irregolari: ad esempio la macchia era scura nel 1997, e nei cinquant'anni precedenti, nei periodi compresi tra 1961–66, 1968–75, 1989–90 e 1992–93.
La Grande Macchia Rossa non deve essere confusa con la Grande Macchia Scura (Great Dark Spot), una struttura osservata nel 2000 in prossimità del polo nord del pianeta dalla sonda Cassini; va notato che anche una struttura atmosferica di Nettuno è chiamata Grande Macchia Scura. Quest'ultima fu osservata dalla sonda Voyager 2 nel 1989 e potrebbe trattarsi di un buco nell'atmosfera del pianeta piuttosto che di una tempesta; inoltre non è stata osservata nel 1994 (sebbene una macchia simile sia apparsa più a nord).
Tempeste simili sono state osservate su Saturno, che ha avuto brevemente grandi macchie bianche. Né si deve pensare che la Grande Macchia Rossa sia l'unica tempesta su Giove. Sul pianeta infatti compaiono numerose altre tempeste di minore entità, indicate genericamente come ovali bianchi o bruni a seconda del colore e generalmente senza una denominazione. Gli ovali bianchi sono in genere composti da nuvole relativamente fredde nell'alta atmosfera. Gli ovali marroni sono più caldi, e si trovano ad altezza normale. Queste tempeste possono durare indifferentemente poche ore o molti secoli.
Dal 2000 la fusione di tre grandi ovali bianchi ha portato alla formazione di una nuova grande tempesta che da allora è andata sempre intensificandosi. Denominata ufficialmente Ovale BA è stata chiamata informalmente Piccola Macchia Rossa e Macchia Rossa Jr. quando ha iniziato a colorarsi di rosso.
Evoluzione dell'Ovale BA sotto la GMR e la Macchia Rossa Junior ).

Le simulazioni suggeriscono che la Macchia possa assorbire tempeste più piccole, e in effetti episodi simili sono stati intravisti al telescopio. In particolare, all'inizio del 2008 la NASA ha scoperto un'altra nuova frammentazione della Grande Macchia Rossa, denominata Macchia Rossa Neonata (Baby Red Spot), una piccolissima formazione ciclonica distaccatasi dalla Grande Macchia Rossa che all'inizio di ottobre 2008 è stata riassorbita nuovamente dopo un transito.

Il primo avvistamento della Grande Macchia Rossa è spesso accreditato a Robert Hooke, che descrisse una macchia su Giove nel maggio 1664; tuttavia, è probabile che la macchia di Hooke fosse nella banda sbagliata (la banda equatoriale settentrionale, rispetto alla posizione attuale nella banda equatoriale meridionale). Più convincente risulta la descrizione di Giovanni Cassini di una "macchia permanente", fornita l'anno seguente. Con fluttuazioni nella visibilità, la macchia di Cassini fu osservata dal 1665 al 1713.
Un mistero minore è relativo ad una macchia gioviana ritratta nel 1711 in un dipinto da Donato Creti, esposta nella Pinacoteca vaticana. Il dipinto è parte di una serie di pannelli, le Osservazioni astronomiche, in cui differenti corpi celesti (ingranditi) fanno da sfondo a varie scene italiane; la creazione di questa serie è stata supervisionata dall'astronomo Eustachio Manfredi per garantirne l'accuratezza. Il dipinto di Creti è la prima rappresentazione a riportare la Grande Macchia Rossa di colore rosso. Nessuna struttura gioviana era stata descritta di quel colore prima del tardo Ottocento.
La Grande Macchia Rossa attuale fu vista solo dopo il 1830 e ben studiata solo dopo un'apparizione di rilievo del 1879. Un salto di 118 anni separa le osservazioni del 1830 dalla sua scoperta, nel XVII secolo; non è noto se la macchia originaria si sia dissolta e poi ricostituita, se sia sbiadita, o anche se i resoconti delle osservazioni furono semplicemente di scarsa qualità. Le macchie più vecchie ebbero una storia osservativa più breve ed un moto più lento rispetto alla macchia attuale e ciò rende la loro identificazione incerta.
Il 25 febbraio 1979, quando la Voyager 1 era a 9,2 milioni di km da Giove, trasmise a Terra la prima immagine dettagliata della Grande Macchia Rossa. Erano riconoscibili dettagli nuvolosi delle dimensioni minime di 160 km. Il colorato motivo ondoso delle nuvole ad ovest (sinistra) della Grande Macchia Rossa è la regione di coda della macchia, dove sono osservabili moti nuvolosi estremamente complessi e variabili.


Grazie alle osservazioni di Hubble e Gemini, in concomitanza a quelle di Juno, gli scienziati sono anche in grado di studiare i cambiamenti a breve termine del gigante gassoso, come ad esempio quelli che avvengono nella Grande Macchia Rossa.
Le immagini di Juno e le precedenti missioni su Giove avevano rivelato caratteristiche zone scure all’interno della Grande Macchia Rossa che appaiono, scompaiono e cambiano forma nel tempo. Dalle singole immagini non era chiaro se queste fossero causate da un misterioso materiale di colore scuro all’interno dello strato di nubi o se fossero invece buchi nelle nubi stesse, come finestre che si affacciano su uno strato più profondo e più scuro, al di sotto.

Le immagini della Grande Macchia Rossa di Giove sono state realizzate utilizzando i dati raccolti dal telescopio spaziale Hubble e dall’Osservatorio Gemini il primo aprile 2018. Combinando le osservazioni catturate quasi contemporaneamente dai due diversi telescopi, gli astronomi sono stati in grado di capire che le chiazze scure che appaiono nella macchia sono buchi nelle nuvole piuttosto che masse di materiale più scuro. In alto a sinistra, e nel riquadro in basso a sinistra dove è stato riportato un dettaglio, si vede l’immagine di Hubble (ripresa alle lunghezze d’onda del visibile) della luce solare che si riflette sulle nubi dell’atmosfera di Giove e si notano delle zone scure all’interno della Grande Macchia Rossa. In alto a destra è riportata un’immagine a infrarossi della stessa area ripresa dal telescopio Gemini, che mostra il calore emesso sotto forma di raggi infrarossi. Le nubi sovrastanti fredde appaiono come regioni scure, ma le schiarite tra le nubi consentono all’emissione infrarossa di sfuggire dagli strati più caldi sottostanti. In basso al centro, un’immagine ultravioletta di Hubble mostra la luce solare diffusa dalle nebbie nella Grande Macchia Rossa, che appare rossa alla luce visibile perché queste nebbie assorbono le lunghezze d’onda blu. I dati di Hubble mostrano che le nebbie continuano ad assorbire anche a lunghezze d’onda ultraviolette più brevi. In basso a destra è riportata un’immagine composita di Hubble e Gemini che mostra la luce visibile in blu e l’infrarosso in rosso. Le osservazioni combinate mostrano che le aree luminose nell’infrarosso sono radure o luoghi in cui c’è meno copertura nuvolosa che blocca il calore dall’interno. Crediti: Nasa, Esa, and M.H. Wong (Uc Berkeley) and team ).

Ora, con la possibilità di confrontare le immagini nel visibile di Hubble con le immagini a infrarossi di Gemini, catturate a poche ore l’una dall’altra, è possibile rispondere a questa domanda. In particolare, le regioni che sono scure alla luce visibile sono molto luminose nell’infrarosso, indicando come in realtà siano di fatto buchi nelle nubi. In queste regioni, non coperte dalle nubi, il calore proveniente dall’interno di Giove emesso sotto forma di luce infrarossa, e bloccato dalle nubi degli strati più alti, è libero di fuggire nello spazio e appare luminoso nelle immagini di Gemini.

Tempeste eruttive:
Le chiamano eruzioni ma sono solo un fenomeno atmosferico, adesso confermato dalle immagini del radiotelescopio ALMA e dell' HUBBLE. Si tratta di tempeste nell’atmosfera di Giove che, in modo simile a un temporale terrestre, fanno risalire cumuli d'ammoniaca riscaldata da strati più bassi, per poi emergere platealmente dalla cima delle nubi ghiacciate che avvolgono il pianeta.
ALMA, ha permesso di realizzare una panoramica unica dell’atmosfera di Giove, potendo ''vedere'' giù fino a circa cinquanta chilometri sotto il manto superficiale di nubi d’ammoniaca che avvolgono il pianeta.

Immagine radio di Giove realizzata con Alma. Le bande luminose indicano temperature più alte e corrispondono alle cinture del pianeta che appaiono marroni in luce visibile, mentre le bande scure rappresentano temperature più basse e corrispondono alle zone di Giove che sono spesso bianche a lunghezze d’onda visibili. Questa immagine contiene oltre 10 ore di dati, quindi i dettagli fini sono offuscati dalla rotazione del pianeta. Crediti: ALMA (ESO/NAOJ/NRAO), I. de Pater et al.; NRAO/AUI NSF, S. Dagnello ).

L’atmosfera di Giove è composta principalmente da idrogeno ed elio, insieme a tracce di gas metano, ammoniaca, acido solfidrico e acqua. Lo strato più alto di nuvole è costituito da ghiaccio di ammoniaca. Al di sotto c’è uno strato di particelle solide di idro-solfuro di ammonio, e ancora più in profondità, a circa 80 chilometri sotto il livello superiore, si trova probabilmente uno strato di nuvole di acqua liquida. Le variazioni nelle nuvole superiori danno origine alle ben note differenti colorazioni delle cinture marroni e delle zone bianche.

Molte delle tempeste su Giove hanno luogo all’interno di quelle cinture. Possono essere paragonate ai temporali sulla Terra e sono spesso associate a comparsa di fulmini.
Le tempeste si rivelano in luce visibile come piccole nuvole luminose, chiamate pennacchi. L’eruzione di questi pennacchi può causare una grave frattura nella cintura, una perturbazione che può rimanere visibile per mesi o anche anni.
I dati hanno mostrato che queste nuvole temporalesche raggiungevano l’apice della tropopausa – la parte più fredda dell’atmosfera – dove si estendevano in modo simile ai cumulonembi a forma di incudine.

Questa illustrazione della “convezione umida” nell’atmosfera di Giove mostra un pennacchio in crescita che origina a circa 80 chilometri al di sotto delle cime delle nuvole, dove la pressione è cinque volte quella sulla Terra (5 bar) e che, risalendo attraverso regioni dove l’acqua si condensa, forma idrosolfuro di ammonio e l’ammoniaca si congela in ghiaccio, proprio sotto il punto più freddo dell’atmosfera, la tropopausa. Crediti: adattato da un’illustrazione di Leigh Fletcher, Università di Leicester ).

Le osservazioni di ALMA sono le prime a mostrare che alte concentrazioni di ammoniaca gassosa vengono sollevate durante un’eruzione energica.
La combinazione di osservazioni simultanee a diverse lunghezze d’onda ci ha permesso di esaminare l’eruzione in dettaglio. Questo ci ha portato a confermare l’attuale teoria secondo cui l’emersione dei pennacchi è innescata dalla convezione umida alla base delle nuvole d’acqua, che si trovano in profondità nell’atmosfera. I pennacchi portano il gas di ammoniaca dal profondo dell’atmosfera alle alte quote, ben al di sopra del manto superficiale di nuvole.
Secondo la teoria della convezione umida (moist convection), le correnti convettive portano un mix di ammoniaca e vapore acqueo in una quota sufficientemente alta – circa 80 chilometri al di sotto della cime delle nuvole – da consentire all’acqua di condensarsi in goccioline liquide. L’acqua di condensa rilascia calore, che espande la nuvola e la fa risalire rapidamente verso l’alto attraverso altri strati di nuvole, rompendo infine le nuvole di ghiaccio di ammoniaca nella parte superiore dell’atmosfera.
L’inerzia acquisita dal pennacchio trasporta la nuvola di ammoniaca sopra lo strato ghiacciato di nuvole esistenti, fino a quando la nuova ammoniaca non si congela a sua volta, creando un pennacchio bianco brillante che si staglia contro le fasce colorate che circondano Giove.

LINK-(EN): https://arxiv.org/abs/1907.11820 

Gli Anelli:
Il sistema degli anelli di Giove, consiste principalmente di polveri, presumibilmente silicati, ed è suddiviso in quattro parti principali: un denso toro di particelle noto come anello di alone; una fascia relativamente brillante, ma eccezionalmente sottile nota come anello principale; due deboli fasce più esterne, detti anelli Gossamer (letteralmente garza), che prendono il nome dai satelliti il cui materiale superficiale ha dato origine a questi anelli, quello di Amaltea (anello Gossamer di Amaltea) e di Tebe (anello Gossamer di Tebe). (vedi schede sotto)


L'impatto con la cometa Shoemaker-Levy 9:

IMPATTO su GIOVE offerto da MEDIA INAF

La cometa Shoemaker-Levy 9 (formalmente designata 1993e e D/1993 F2) è divenuta famosa perché è stata la prima cometa ad essere osservata durante la sua caduta su un pianeta. Scoperta il 25 marzo 1993 dagli astronomi Eugene e Carolyn S. Shoemaker e da David Levy, analizzando lastre fotografiche dei dintorni di Giove, destò immediatamente l'interesse della comunità scientifica; non era mai accaduto infatti che una cometa fosse scoperta in orbita attorno ad un pianeta e non al Sole. Catturata tra la seconda metà degli anni sessanta ed i primi anni settanta da Giove, le interazioni tra il gigante gassoso e la cometa ne avevano causato la disgregazione in 21 frammenti. Nel 1993 si presentava all'osservatore come una lunga fila di punti luminosi immersi nella luminescenza delle loro code, indicati spesso sui giornali come "la collana di perle".
( Le macchie scure sono le aree di impatto dei frammenti della SL9 ).
Gli studi dell'orbita della cometa portarono alla conclusione che essa sarebbe precipitata sul pianeta nel luglio del 1994. Fu quindi avviata un'estesa campagna osservativa che coinvolse numerosi osservatori a Terra e diverse sonde nello spazio per la registrazione dell'evento. Tra il 16 ed il 22 luglio del 1994, i frammenti della cometa caddero su Giove in un vero e proprio bombardamento. Le macchie scure che si formarono sul pianeta furono osservabili dalla Terra per diversi mesi prima di essere riassorbite dall'atmosfera di Giove. L'evento ebbe una rilevanza mediatica considerevole, ma contribuì notevolmente anche alle conoscenze scientifiche sul Sistema solare. In particolare, permise di effettuare misurazioni sugli strati profondi dell'atmosfera gioviana, normalmente inaccessibili, e sottolineò il ruolo svolto da Giove nel ridurre i detriti spaziali presenti nel Sistema solare interno.
I vari frammenti della cometa SL9 prima dell'impatto ).
L'impatto di un secondo oggetto sul pianeta è stato osservato fortuitamente il 19 luglio 2009, 15 anni dopo l'impatto della Cometa Shoemaker-Levy 9. L'evento è stato segnalato da un astrofilo australiano, Anthony Wesley, e rapidamente confermato grazie alle osservazioni nell'infrarosso dell'Infrared Telescope Facility della NASA, presente presso l'osservatorio di Mauna Kea, alle Hawaii.

Impatto del 7 agosto 2019:
Un grande oggetto celeste ha colpito la densa atmosfera superficiale di Giove, producendo un bagliore (bolide) che è stato catturato da un astrofotografo amatoriale mentre filmava il gigante gassoso attraverso il suo telescopio. Poiché il flash di luce bianca è stato visibile dalla Terra, si ritiene che l'impatto contro la tempestosa atmosfera gioviana sia stato causato da un oggetto piuttosto grande, un asteroide o magari una cometa, anche se al momento non è possibile stimarne massa e dimensioni.
Il merito di questa scoperta è del texano Ethan Chappel, che alle 06:07 ora italiana del 7 agosto stava filmando il pianeta dal proprio giardino di casa. 
Il flash di luce è visibile appena sotto l'equatore di Giove, a circa 60° a Ovest dalla famosa Grande Macchia Rossa.

Fotogrammi dell'impatto che ha riguardato Giove il 07/08/2019 ).

Tanti satelliti:
Di Giove attualmente si conoscono 79 satelliti (leggi qui: Tutti i satelliti naturali di Giove ) , tra questi i quattro più grandi, Ganimede, Callisto, Io, e Europa, scoperti da Galileo, mostrano analogie con i pianeti terrestri, come fenomeni di vulcanismo e calore interno di origine mareale.
Più interni ai satelliti Medicei di trovano 4 piccole lune regolari: Metis, Adrastea, Amalthea, Thebe.

SCHEDA RIASSUNTIVA DI GIOVE:

SISTEMA DI GIOVE:
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Saturno


                                                                                                                                      
Saturn (planet) large.jpg

Saturno , distinto dal suo sistema di anelli, ha molte analogie con Giove, come la sua composizione atmosferica.

Dati fisici:
Riceve dal Sole, assieme a tutti i suoi satelliti, 14,8 W/m2 di energia.
Saturno è molto meno massiccio di Giove, essendo solo di 95 Mt (masse terrestri), ed ha un diametro equatoriale di 120.536 km ed un diametro polare di 108.728 km, con una densità inferiore a quella dell'acqua, pari a 0,687 kg/dm3, ne risulta poi una velocità di fuga di 35,5 km/s.
L'inclinazione del suo asse è di 26.73° rispetto al suo piano orbitale.
Ruota su se stesso in 10h33m38s+1m52s
-1m19s
. (Valore aggiornato al 21/01/19).

Dati fisici
Diametro equatoriale120 536 km
Diametro polare108 728 km
Schiacciamento0,09796
Superficie4,26 × 1016 
Volume8,27 × 1023 
Massa5,6834 × 1026 kg
Densità media0,687 × 103 kg/m³
Accelerazione di gravità in superficie8,96 m/s²
(0,914 g)
Velocità di fuga35,500 km/s
Periodo di rotazione0,445 giorni
(10h 33min 38s)
Velocità di rotazione
(all'equatore)
9 849 m/s
Inclinazione assiale26,73°
A.R. polo nord40,59°
(2h 42min 21s)
Declinazione83,54°
Temperatura alla
sommità delle nubi
93 K (media)
Temperatura
superficiale
82 K (min)
143 K; -130 °C (media)

Con una massa pari a 95,181 volte e un volume pari a 744 volte quello terrestre Saturno è il secondo pianeta più grande del sistema solare dopo Giove. È classificato come gigante gassoso poiché gli strati esterni sono costituiti prevalentemente da gas e manca di una superficie definita, anche se potrebbe avere un nucleo solido. Saturno appare visibilmente schiacciato ai poli, con i suoi diametri equatoriale e polare (120.536 km e 108.728 km rispettivamente) che differiscono di quasi il 10%. Questa forma è il risultato della sua rapida rotazione e della sua composizione chimica, con la densità più bassa del sistema solare, facile a deformarsi. Anche gli altri pianeti, e i giganti gassosi in particolare, sono deformati in maniera analoga, ma in modo molto meno evidente.
Saturno è anche l'unico pianeta del sistema solare con una densità media inferiore a quella dell'acqua: solo 0,69 kg/dm³. In realtà il valore medio è una combinazione di densità molto basse nell'atmosfera del pianeta e densità più elevate all'interno, sicuramente maggiori di quella dell'acqua. Per questi valori si presuppone che il pianeta abbia un nucleo di rocce e metalli non particolarmente massiccio. Saturno ha una massa 95 volte quella terrestre, e assieme a Giove compone il 92% della massa planetaria totale del sistema solare.

Parametri orbitali:
Saturno orbita attorno al Sole a una distanza media di 1,427 × 10E9 km, percorrendo una rivoluzione completa in 29,458 anni terrestri. La sua orbita è inclinata di 2,488º rispetto all'eclittica e ha una leggera eccentricità di 0,0560. Alla sua distanza la luce del Sole appare circa 100 volte meno intensa della luce sulla Terra.

Parametri orbitali
(all'epoca J2000)
Semiasse maggiore1 433 530 000 km
9,582 UA
Perielio1 352 550 000 km
9,02063224 UA
Afelio1 515 500 000 km
10,05350840 UA
Circonferenza orbitale8 447 660 938 km
59,879 UA
Periodo orbitale29,45 anni
(10.756,1995 giorni)
Periodo sinodico378,09 giorni
Velocità orbitale9,09 km/s (min)
9,68 km/s (media)
10,18 km/s (max)
Inclinazione
sull'eclittica
2,485°
Eccentricità0,0565
Longitudine del
nodo ascendente
113,71504°
Argomento del perielio92,43194°

Gli Anelli:


La caratteristica principale di Saturno sono il suo imponente sistema di anelli, visibile anche con un buon binocolo da Terra.
Sono composti da milioni di piccoli oggetti, della grandezza che varia dal micrometro al metro, orbitanti attorno al pianeta sul suo piano equatoriale, e organizzati in un anello piatto. Poiché, come per la Terra, l'asse di rotazione di Saturno è inclinato rispetto al piano orbitale, anche gli anelli risultano inclinati.

Gli anelli incominciano a un'altezza di circa 6.600 km dalla sommità delle nubi di Saturno e si estendono, quelli principali, fino a 120.000 km, poco meno di un terzo della distanza Terra-Luna.
Il loro spessore è mediamente pari ad appena 10 metri, oltre c'è il tenue anello E che si estende fino a Titano, infine l'anello di Febe visibile solo nell'infrarosso a circa 10 milioni di km, che ha una diversa inclinazione, come l'orbita del satellite invece del piano equatoriale come per gli altri.
Una ricerca della NASA effettuata nel 2018 in collaborazione con l'osservatorio Keck ha confermato le stime effettuate sulle osservazioni delle due sonde Voyager, in base alle quali il sistema di anelli dovrebbe precipitare completamente entro 300 milioni di anni, a causa della gravità e dell'intenso campo magnetico del pianeta. Osservazioni effettuate con la sonda Cassini sulla precipitazione di materiale presso l'equatore del pianeta stimano l'età degli anelli inferiore ai 100 milioni di anni .
Gli anelli sono divisi in sette fasce, separate da divisioni che sono quasi vuote. L'organizzazione in fasce e divisioni risulta da una complessa dinamica ancora non ben compresa, ma nella quale giocano sicuramente un ruolo i cosiddetti satelliti pastori, lune di Saturno che orbitano all'interno o subito fuori dall'anello.


Dall'ultimo sorvolo della sonda CASSINI , è stato pubblicata una ricerca dal team di Matthew S. Tiscareno del Seti Institute, in cui ci sono le proprietà spettrali (cioè la composizione chimica) degli anelli principali attorno al gigante gassoso e la loro struttura (cioè il processo che li ha modellati coinvolgendo le diverse masse che orbitano nel sistema saturniano, dalle lune agli impattatori).

Dalle immagini emergono dettagli senza precedenti, come i colori, la chimica e la temperatura risolti attraverso gli anelli D, C, B, la divisione di Cassini, A ed F , in ordine di distanza da Saturno.
Da queste strutture composte in prevalenza da ghiaccio d’acqua, i ricercatori possono apprendere molto sui processi e sulle dinamiche attraverso i quali il sistema è evoluto, dalla sua formazione a oggi.

Per la raccolta dei dati spettrali, il gruppo ha utilizzato, tra gli altri strumenti, lo spettrometro Vims, che ha potuto osservare gli anelli con risoluzioni spaziali senza precedenti (fino a 20-30 km per pixel) permettendo di investigare le variazioni di composizione insieme alle immagini ottenute dalla camera (con risoluzione di 3 km per pixel).
In generale abbiamo osservato che gli assorbimenti del ghiaccio d’acqua nell’infrarosso e l'andamento spettrale in luce visibile sono strettamente correlati con la profondità ottica:
- le zone più dense degli anelli appaiono più ricche di ghiaccio d’acqua e di contaminanti, e sono generalmente più fredde.


Pur essendo dominati entrambi dal ghiaccio d’acqua, lo spettro degli anelli appare molto più arrossato di quello dei satelliti ghiacciati di Saturno per via della maggiore concentrazione di contaminanti.
Due diverse tipologie di contaminanti sono necessarie per modellare gli spettri osservati da Vims:
- la prima, responsabile dell’arrossamento dello spettro visibile è riconducibile a materiali organici (toline e idrocarburi policiclici aromatici) o nanoparticelle di ferro.
- La seconda invece è un assorbitore neutro compatibile con particelle di carbone amorfo o di silicati.

Con gli strumenti della Cassini è stato possibile, inoltre, esaminare da vicino anche i piccoli satelliti pastore, che orbitano tra di essi, come Dafni, nella divisione di Keeler (Fig A e B), e la struttura fisica degli anelli, scoprendone le diverse trame : grumose, lisce e striate (Fig. C).

Gli scienziati hanno osservato che una serie di strutture a strisce da impatto rilevate sull’anello F presentano la stessa lunghezza e lo stesso orientamento, dimostrando che sono state probabilmente causate da un gruppo compatto di impattori che ha colpito l’anello nello stesso momento. Da ciò si evince che gli anelli esterni possano essere stati modellati da flussi di materiale orbitante attorno a Saturno piuttosto che, per esempio, da detriti cometari che si muovono attorno al Sole, come teorizzato in passato.
Le immagini di Cassini hanno infine permesso di osservare in dettaglio le eliche, le tipiche strutture a forma di ''S'' allungata, di circa 1 km di diametro, che sono gli embrioni di accrescimento di nuove piccole lune in formazione all’interno dell’anello A (Fig. D e E).

Questi nuovi dettagli su come le lune scolpiscono gli anelli in vari modi forniscono una finestra sulla formazione stessa del Sistema solare, e considerando che i dischi protoplanetari si evolvono sotto l’influenza delle masse incorporate al loro interno.

LINK:
Close-range remote sensing of Saturn’s rings during Cassini’s ring grazing orbits and grand finale .

VIDEO ANELLI SATURNO:
( Il video è un ulteriore modo di mostrarvi la struttura degli anelli di Saturno, per vederlo cliccate sul triangolino al centro, è un video di Media INAF caricato su YouTube ).

L'Atmosfera:
La sua atmosfera si compone, come nel caso di Giove, in maggior parte di Idrogeno (96,3%) in primis ed in una frazione minore di Elio (3,25%), con altri gas in forma marginale (0,45%).

(A lato - Immagine della più lunga tempesta elettrica mai osservata su Saturno dalla sonda Cassini della Nasa ottenuta con la telecamera grandangolare a bordo della sonda  il 4 marzo 2008, ad una distanza di circa 1,3 milioni di chilometri dal pianeta. La scala dell’immagine è di 74 chilometri per pixel. Crediti: Nasa / Jpl / Space Science Institute).

Un approccio per migliorare la comprensione delle atmosfere planetarie, di Saturno in particolare. È quello che due ricercatori della University College London e dell’Università dell’Arizona hanno utilizzato per rilevare le tempeste sul gigante gassoso. Lo studio, pubblicato su Nature Astronomy, fornisce i risultati del primo utilizzo dell’algoritmo PlanetNet, basato sull’intelligenza artificiale. Una nuova tecnica che ha permesso di identificare e mappare le componenti e le caratteristiche delle regioni turbolenti dell’atmosfera del gigante gassoso, fornendo informazioni sui processi che di queste tempeste sono il motore.
La mappa ottenuta dai ricercatori mostra chiaramente le vaste regioni atmosferiche del gigante gassoso colpite dalle tempeste e le nubi scure tempestose contenti materiale spazzato via dagli strati inferiori dell’atmosfera dai forti venti verticali presenti sul pianeta. Ma non è tutto. Analisi precedenti del set di dati avevano rilevato nell’atmosfera tracce di ammoniaca, presente in nubi a forma di ‘S’. La mappa prodotta da PlanetNet mostra che, in effetti, questa caratteristica c’è (vedi la figura indicato con la freccia nell’immagine qui sotto). È la parte prominente di una nuvola di ghiaccio d’ammoniaca più grande, risalita attorno alla tempesta scura centrale. Una risalita simile che è stata identificata dall’algoritmo anche attorno a un’altra piccola tempesta, suggerendo che tale caratteristica sia abbastanza comune. La mappa mostra inoltre pronunciate differenze tra il centro della tempesta e le aree circostanti, segno di una visione chiara nell’atmosfera più calda e profonda.

( Distribuzione delle nubi di Saturno mappate da PlanetNet attraverso sei set di dati sovrapposti. Le caratteristiche regioni a forma di ‘S’ (in blu) appaiono in prossimità delle tempeste scure (viola / verde). In rosso/arancione le regioni non perturbate. Crediti: I. P. Waldmann & C. A. Griffith, Nature Astronomy 2019 ).


La ''calda'' atmosfera di Saturno:
Gli strati superiori delle atmosfere dei giganti gassosi – Saturno, Giove, Urano e Nettuno – sono calde, proprio come quelli della Terra. Ma a differenza della Terra, il Sole è troppo lontano da questi pianeti esterni per spiegare le alte temperature che in essi si registrano.
Una nuova analisi dei dati ottenuti dalla sonda spaziale Cassini della Nasa ha trovato una valida spiegazione per ciò che potrebbe mantenere caldi gli strati superiori di Saturno, e forse anche gli strati superiori degli altri giganti gassosi:
 - le aurore ai poli nord e sud del pianeta. 

Le correnti elettriche, innescate dalle interazioni tra i venti solari e le particelle cariche delle lune di Saturno, accendono bellissime aurore e riscaldano l’atmosfera superiore del pianeta.
Dai dati raccolti da Cassini, gli scienziati hanno potuto misurare la densità dell’atmosfera, che ha permesso di dedurne la temperatura. Hanno visto che la densità diminuisce con l’altitudine e la velocità di riduzione dipende dalla temperatura.
Hanno scoperto che le temperature raggiungono il picco vicino alle aurore, indicando che le correnti elettriche aurorali riscaldano l’atmosfera superiore. Infine, misure congiunte di densità e temperatura hanno permesso di valutare le velocità del vento.
Fu proprio durante il Gran Finale che furono raccolti i dati chiave per la nuova mappatura della temperatura dell’atmosfera di Saturno.
Per sei settimane, Cassini prese di mira diverse stelle luminose nelle costellazioni di Orione e del Cane Maggiore, osservandole mentre sorgevano e tramontavano dietro il pianeta gigante e analizzando il modo in cui la loro luce cambiava attraversando l’atmosfera.


Costruendo un quadro completo di come il calore circola nell’atmosfera, gli scienziati sono stati in grado di capire come le correnti elettriche aurorali riscaldano gli strati superiori dell’atmosfera di Saturno e ne guidano i venti.
Il sistema dei venti a livello globale è in grado di distribuire questa energia, che inizialmente si deposita vicino ai poli, verso le regioni equatoriali, riscaldandole a temperature fino a due volte quelle previste dal solo riscaldamento del Sole.

L'Esagono:
All’interno dell’atmosfera di Saturno avviene una grande varietà di fenomeni meteorologici, ma l’esagono è sicuramente uno dei più curiosi, a prescindere dall’amore per le simmetrie. L’esagono è un’incredibile struttura di onde atmosferiche che sembra essere disegnata da un geometra.
E per di più sembra restare statica, ruotando insieme al pianeta senza scomporsi mai.
E' presente solo al polo nord del pianeta.


L'esagono di Saturno è un persistente modello di nuvola esagonale attorno al polo nord del pianeta Saturno, situato sopra i circa 78° N.
I lati dell'esagono sono lunghi circa 14.500 km, che sono più lunghi del diametro della Terra.
L'esagono è largo un po' più di 29.000 km ed è alto 300 km.
Si ritiene che sia una corrente a getto fatta di gas atmosferici che si muove a 320 km/h.
Ruota con un periodo di 10h 39m 24s, lo stesso periodo delle emissioni radio di Saturno dal suo interno. L'esagono non si sposta in longitudine come le altre nuvole nell'atmosfera visibile.

L'esagono di Saturno fu scoperto durante la missione Voyager nel 1981 e fu successivamente rivisitato da Cassini-Huygens nel 2006. Durante la missione Cassini , l'esagono cambiò da un colore prevalentemente blu a più di un colore dorato.
(vedi foto a lato).
Una teoria per questo è che la luce solare sta creando foschia mentre il polo nord è esposto alla luce solare a causa del cambio di stagione.
Il polo sud di Saturno non ha un esagono, come verificato dalle osservazioni di Hubble, tuttavia, ha un vortice e c'è anche un vortice all'interno dell'esagono settentrionale.

Un'ipotesi, sviluppata all'Università di Oxford, è che l'esagono si forma dove c'è un ripido gradiente latitudinale nella velocità dei venti atmosferici nell'atmosfera di Saturno.
Simili forme regolari sono state create in laboratorio quando in un serbatoio circolare il particolare liquido è stato ruotato a velocità diverse nel centro e alla periferia.

La forma derivante più comune era a sei lati, ma venivano anche prodotte forme con tre o otto lati.
Le forme si creano in un'area di flusso turbolento tra i due diversi corpi fluidi rotanti con velocità diverse. Un certo numero di vortici stabili di dimensioni simili si formano sul lato più lento (sud) del confine del fluido e questi interagiscono tra loro per spaziarsi uniformemente attorno al perimetro.
La presenza dei vortici influenza il confine spostandolo verso nord e questo dà origine all'effetto poligono. I poligoni non si formano ai confini del vento a meno che i parametri di differenziale di velocità e viscosità non siano entro certi margini e difatti non sono presenti in altri punti probabili, come il polo sud di Saturno o i poli di Giove.
Altri ricercatori affermano che gli studi di laboratorio mostrano correnti a vortice , una serie di vortici a spirale non osservati nell'esagono di Saturno. Le simulazioni mostrano che un jet-stream serpeggiante superficiale, lento e localizzato nella stessa direzione delle nuvole prevalenti di Saturno è in grado di abbinare i comportamenti osservati dell'esagono di Saturno con la stessa stabilità al suo contorno.
Lo sviluppo di instabilità barotropica del getto circumpolare esagonale polare nord di Saturno, più il sistema di vortice polare nord (NPV) produce una struttura di lunga durata simile all'esagono osservato. Il vortice polare nord (NPV), quindi, svolge un ruolo dinamico decisivo per stabilizzare i getti esagonali. L'influenza della convezione umida, che è stata recentemente suggerita di essere all'origine del sistema di vortice polare nord di Saturno in letteratura, è studiata nel quadro del modello barotropico rotante di acque poco profonde e non altera le conclusioni.


Nel 2015, la Cassini ha ottenuto immagini in alta risoluzione del lembo del pianeta, osservando cioè la sua atmosfera di taglio, appena sopra l’orizzonte.
In questo modo si sono potuti osservare gli strati di nubi al di sopra dell’esagono distinguendo dettagli spessi solamente uno o due chilometri.
Queste immagini sono state ottenute con vari filtri che hanno permesso di separare le frequenze dall’ultravioletto all’infrarosso.
Tali dati sono poi stati completati con osservazioni di Hubble Space Telescope, che quindici giorni dopo ha osservato l’esagono dall’alto invece che al lembo.
Tale osservazione ha portato a scoprire che l’esagono è fatto a strati: un sistema di almeno sette diversi strati di nebbia che si estende dalle nubi del pianeta fino a più di 300 chilometri di altitudine. Ci sono altri luoghi nel Sistema solare, come Plutone o Titano, che sono coperti da stratificazioni di nebbie, ma mai in maniera così estesa e regolare: ogni strato di nebbia dell’esagono di Saturno è spesso infatti tra i 7 e i 18 chilometri.

Ma lo studio è andato oltre, analizzando la composizione chimica di questi strati. Sembrerebbero essere popolati da particelle grandi appena due micron di idrocarburi come acetilene, propano, propino, diacetilene e, nel caso delle nubi più alte, butano. La cosa affascinante è che questi composti si trovano allo stato ghiacciato, grazie alle gelide temperature di -120°C / -180°C .
Per cercare di dare una spiegazione alla regolarità di questi strati, i ricercatori hanno utilizzato ciò che conosciamo sulla Terra. Probabilmente gli strati sono formati dalla propagazione verticale di onde di gravità, oscillazioni nella densità e nella temperatura dell’atmosfera che avvengono abitualmente anche nella nostra atmosfera.

(Ingrandimento a falsi colori che evidenzia la forma tridimensionale dei vortici e delle correnti a getto).

La struttura interna:
Saturno possiede una struttura interna molto simile a quella di Giove e presenta una composizione affine a quella del Sole, essendo costituito per il 75% di idrogeno e il 25% di elio, con tracce d'acqua, metano e ammoniaca.
Nello strato esterno è presente un'atmosfera dove si alternano fasce chiare e scure parallele all'equatore con perturbazioni cicloniche e formazioni di nubi; il tutto degrada nella zona sottostante, dove a densità superiori a 0,01 g/cm3 l'idrogeno diviene liquido.
La temperatura, la pressione e la densità all'interno del pianeta aumentano costantemente spostandosi verso il nucleo, e negli strati più profondi del pianeta, l'idrogeno diviene metallico.
Grazie ai nuovi dati i ricercatori hanno stimato inoltre che il nucleo roccioso del pianeta abbia una massa tra 15 e 18 masse terrestri.


Saturno è fatto a strati, come le cipolle: all’esterno ha un’atmosfera gassosa, perlopiù fatta di idrogeno, ma al suo interno, andando verso il nucleo, le crescenti pressioni e temperature crescenti portano questo gas a comportamenti che qui sulla Terra giudicheremmo inusuali. 
Al di sotto dell’atmosfera c’è uno spesso strato di idrogeno molecolare che ne avvolge uno costituito perlopiù di elio. Se si va ancora più a fondo si trova invece il cosiddetto idrogeno metallico, uno stato della materia in cui gli atomi di idrogeno sono così compatti da essere sostanzialmente protoni immersi in un mare di elettroni liberi di muoversi. 
Poi c’è il nucleo interno, roccioso e solido. 
I dettagli della struttura interna di un gigante gassoso restano tuttavia sempre avvolti nel mistero, perché quello che succede nel cuore di questi mostri planetari, sui quali la materia assume forme e strutture che qui sulla Terra non abbiamo mai visto e che difficilmente possiamo riprodurre in laboratorio, è ben celato e complesso.


Vengono in aiuto le simulazioni computazionali, rese sempre più sofisticate e dettagliate dalla crescente potenza di calcolo disponibile: si impongono alcune caratteristiche iniziali al pianeta virtuale e si osserva se, descrivendone l’evoluzione tramite dei modelli fisici, la simulazione è in grado di riprodurre ciò che osserviamo. Se è in grado di farlo, i modelli descrivono bene la realtà, se non lo è sono probabilmente da scartare o modificare.

Una coppia di ricercatrici della Johns Hopkins University, Chi Yan e Sabine Stanley, ha elaborato delle complesse simulazioni dell’interno e del campo magnetico di Saturno, scoprendone dettagli intriganti. Queste simulazioni hanno utilizzato i dati della sonda Cassini, che dal 1997 al 2017 ha osservato senza sosta il signore degli anelli ottenendo, tra i tantissimi dati, anche molte informazioni riguardo al campo magnetico.

È lo strato di idrogeno metallico il fluido responsabile del campo magnetico di Saturno: per un campo magnetico planetario occorre che sia presente un fluido conduttore in rotazione e l’idrogeno metallico, proprio grazie al mare di elettroni liberi, conduce benissimo. Ma il campo di magnetico di Saturno è particolare tra i pianeti del Sistema solare, perché è quasi perfettamente simmetrico attorno all’asse di rotazione e il polo nord geografico e quello magnetico sono sostanzialmente coincidenti. Le ricercatrici hanno indagato quali ingredienti servissero per produrre il campo magnetico di Saturno nella struttura osservata nei dati di Cassini. 
La scoperta più intrigante è la presenza, nello strato di elio che avvolge quello di idrogeno metallico, di una sorta di pioggia di elio liquido che potrebbe influenzare, modificandolo, il campo magnetico saturniano. La temperatura in cima a questo strato, hanno identificato le ricercatrici, è leggermente variabile, più alta all’equatore, più bassa ai poli.

LINK : “Recipe for a Saturn‐Like Dynamo”, di C. Yan e S. Stanley.

Il campo magnetico:

La magnetosfera di Saturno è di forma abbastanza simmetrica la sua intensità all'equatore è di 0,2 gauss (20 μT) all'incirca solo un ventesimo di quella di Giove, e pure, anche se leggermente, più debole del campo magnetico terrestre.
Si origina, come per Giove, nello strato di idrogeno liquido all'interno del pianeta, in cui si producono numerose scariche elettriche, e grazie anche alla elevata velocità di rotazione del pianeta.
Il fattore che spiega la sua debole magnetosfera deriva dal suo orientamento, che è quasi coincidente con l'asse di rotazione del pianeta, con uno scarto di solo 1° (contro i 10° di Giove).
Alcune particolari interazioni dovute alla sua magnetosfera sono state osservate tra i suoi satelliti: una nube, che risulta composta da atomi di idrogeno, va dall'orbita di Titano fino all'orbita di Rea e un disco di plasma, anch'esso questo formato da idrogeno e ioni di ossigeno, che si estende dall'orbita di Teti fino quasi all'orbita di Titano.

Uno studio a rilevato intorno a Saturno, come per altri pianeti tra cui la Terra, delle particelle cariche che sono intrappolate nel campo magnetico e si dispongono in regioni a forma di ciambella attorno al pianeta, conosciute come fasce di radiazione.

I dati raccolti dalla sonda Cassini della Nasa, hanno fornito nuovi indizi sul comportamento di questi elettroni in rapido movimento all’interno delle fasce.

APPROFONDIMENTI:
LEGGI QUI : http://www.media.inaf.it/2018/11/30/fasce-di-saturno/ (Italiano)
                       https://www.nature.com/articles/s41467-018-07549-4 (Inglese)
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STORIA delle OSSERVAZIONI 

delle ESPLORAZIONI 
di SATURNO

L'osservazione e l'esplorazione di Saturno possono essere suddivise in tre fasi principali.
1) - La prima fase erano le osservazioni antiche ad occhio nudo, prima dell'invenzione dei moderni telescopi .
2) - A partire dal 17° secolo, sono state fatte osservazioni telescopiche progressivamente più avanzate dalla Terra.
3) - La terza fase è la visita di sonde spaziali , in orbita o in volo .
Nel 21 ° secolo, le osservazioni continuano dalla Terra (compresi osservatori in orbita attorno alla Terra come il telescopio spaziale Hubble) e, fino al suo ritiro nel 2017 dalla Cassini in orbita intorno a Saturno.

Antichità:
Saturno è conosciuto fin dalla preistoria e nella storia registrata all'inizio è stato un personaggio importante in varie mitologie. Gli astronomi babilonesi osservavano e registravano sistematicamente i movimenti di Saturno. Nell'antica Grecia, il pianeta era noto come Fonone e in epoca romana era conosciuta come la "stella di Saturno ". In mitologia romana , il pianeta Phainon era sacro a questo dio agricolo, da cui il pianeta prende il nome moderno. I romani consideravano il dio Saturno l'equivalente del dio greco Crono ; in greco moderno, il pianeta conserva il nome Cronus - Κρόνος: Kronos .
Lo scienziato greco Tolomeo basò i suoi calcoli sull'orbita di Saturno su osservazioni fatte mentre era in opposizione . In indù astrologia , ci sono nove oggetti astrologici, noti come Navagrahas .
Saturno è noto come " Shani " e giudica tutti sulla base delle buone e cattive azioni compiute nella vita.  L'antica cultura cinese e giapponese ha designato il pianeta Saturno come la "stella della terra" ( 土星 ). Questo si basava su cinque elementi che venivano tradizionalmente utilizzati per classificare gli elementi naturali.
Nell'antico ebraico , Saturno è chiamato "Shabbathai". Il suo angelo è Cassiel . La sua intelligenza o spirito benefico è 'Agȋȇl (in ebraico: אגיאל , romanizzato: 'Agyal), ed il suo spirito più scuro (demone) è Zȃzȇl (in ebraico: זאזל , romanizzato: Zazl). Zazel è stato descritto come un grande angelo , invocato nella magia solomonica, che è "efficace nelle evocazioni dell'amore " .
In turco ottomano , urdu e malese , il nome di Zazel è "Zuhal", derivato dalla lingua araba (arabo : زحل , romanizzato:  Zuhal ).

Era delle osservazioni telescopiche:
Il primo astronomo a osservarne la forma peculiare fu Galileo Galilei, che nel 1610 non riuscì a risolvere completamente la figura del pianeta circondato dai suoi anelli.
Inizialmente il pianeta gli apparve accompagnato da altri due corpi sui lati, e pertanto lo definì " tricorporeo ".
Con le osservazioni successive e l'uso di strumenti più evoluti la variazione dell'angolo visuale degli anelli gli mostrò via via aspetti diversi, che lo spinsero a definire '' bizzarro '' il pianeta. Galileo nei suoi schizzi, (riportati qui a lato), ipotizzò varie soluzioni per la forma di Saturno, fra cui anche possibili anelli che erano tangenti la superficie del corpo celeste.
Nei secoli successivi Saturno fu oggetto di studi più approfonditi. Nel 1649 Eustachio Divini, un costruttore di telescopi marchigiano, pubblicò per la prima volta un'illustrazione dettagliata degli anelli di Saturno.
Il teologo cattolico Leone Allacci verso la metà del XVII secolo teorizzò fantasiosamente che gli anelli fossero stati originati dal Santo prepuzio.

Fu solo quando Christiaan Huygens usò un ingrandimento telescopico maggiore che questa nozione fu confutata e gli anelli furono visti per la prima volta.
Huygens scoprì anche la luna di Saturno, Titano, in seguito Giovanni Domenico Cassini scoprì altre quattro lune: Giapeto , Rea , Teti e Dione . Nel 1675, Cassini scoprì il divario negli anelli, ora noto come Divisione Cassini .
Robert Hooke notò le ombre (e b) proiettate sia dal globo che dagli anelli l'una sull'altra in questo disegno qua sotto di Saturno nel 1666.


La natura "granulare" degli anelli fu dimostrata per via teorica nel 1859 dal fisico scozzese James Clerk Maxwell .
Non furono fatte ulteriori scoperte di significato fino al 1789 quando William Herschel scoprì altre due lune, Mimas ed Encelado . Il satellite Hyperion di forma irregolare , che ha una risonanza con Titano, fu scoperto nel 1848 da una squadra britannica.
Nel 1899 William Henry Pickering scoprì Febe, un satellite altamente irregolare che non ruota in modo sincrono con Saturno come fanno le lune più grandi. Febe è stato il primo di questi satelliti retrogradi a essere scoperto e gli ci vuole più di un anno per orbitare attorno a Saturno in un'orbita retrograda . All'inizio del 20° secolo, la ricerca su Titano portò alla conferma nel 1944 che aveva un'atmosfera molto densa, una caratteristica unica tra le lune del Sistema Solare.

Esplorazione spaziale:
Pioneer 11 - Fece il primo sorvolo di Saturno nel settembre 1979, quando passò entro 20.000 km dalle cime delle nuvole del pianeta. Sono state scattate immagini del pianeta e di alcune delle sue lune, sebbene la loro risoluzione fosse troppo bassa per discernere i dettagli della superficie.
La navicella spaziale ha anche studiato gli anelli di Saturno, rivelando il sottile anello a F e il fatto che gli spazi scuri negli anelli sono luminosi quando visti ad alto angolo di fase (verso il Sole), nel senso che contengono materiale fine che diffonde la luce. Inoltre, Pioneer 11 ha misurato la temperatura di Titano.

Voyager 1 e 2 
Nel novembre 1980, la sonda Voyager 1 visitò il sistema di Saturno. Restituì le prime immagini ad alta risoluzione del pianeta, dei suoi anelli e dei suoi satelliti.
Le caratteristiche di superficie di varie lune sono state osservate per la prima volta.
Voyager 1 ha eseguito un sorvolo ravvicinato di Titano, aumentando la conoscenza dell'atmosfera della luna. Ha dimostrato che l'atmosfera di Titano è impenetrabile in lunghezze d'onda visibili; pertanto non sono stati osservati dettagli di superficie. Il flyby ha cambiato la traiettoria del veicolo spaziale fuori dal piano del Sistema Solare.
- Quasi un anno dopo, nell'agosto 1981, Voyager 2 continuò lo studio del sistema di Saturno. Sono state acquisite immagini più ravvicinate delle lune di Saturno, nonché prove di cambiamenti nell'atmosfera e negli anelli. Sfortunatamente, durante il flyby, la piattaforma della telecamera girevole della sonda si è bloccata per un paio di giorni e alcune immagini pianificate sono state perse. La gravità di Saturno fu usata per dirigere la traiettoria del veicolo spaziale verso Urano e poi Nettuno.
Le sonde hanno scoperto e confermato numerosi nuovi satelliti in orbita vicino o all'interno degli anelli del pianeta, così come la piccola divisione di Maxwell (un gap all'interno dell'anello C) e quella di Keeler (un gap di 42 km nell'anello A).

Cassini - La sonda spaziale Cassini-Huygens è entrata in orbita attorno a Saturno il 1° luglio 2004. Nel giugno 2004 ha condotto uno stretto sorvolo di Febe , inviando immagini e dati ad alta risoluzione. Il sorvolo di Cassini sulla più grande luna di Saturno, Titano, catturò immagini radar di grandi laghi e delle loro coste con numerose isole, montagne e fiumi. Cassini ha completato due sovoli di Titano prima di rilasciare la sonda Huygens il 25 dicembre 2004. Huygens è sceso sulla superficie di Titano il 14 gennaio 2005.
A partire dall'inizio del 2005, gli scienziati hanno usato Cassini per rintracciare i fulmini su Saturno. Il potere del lampo è circa 1.000 volte quello del lampo sulla Terra.
Nel 2006, la NASA riferì che Cassini aveva trovato prove di serbatoi di acqua liquida non più di decine di metri sotto la superficie che esplodevano in geyser sulla luna di Saturno Encelado.
Questi getti di particelle ghiacciate vengono emessi in orbita attorno a Saturno dai crepacci nella regione polare meridionale della luna. Oltre 100 geyser sono stati identificati su Encelado. Nel maggio 2011, gli scienziati della NASA hanno riferito che Encelado "sta emergendo come il luogo più abitabile oltre la Terra nel Sistema Solare per la vita come la conosciamo".
Le fotografie di Cassini hanno rivelato un anello planetario non ancora scoperto, fuori dagli anelli principali più luminosi di Saturno e all'interno degli anelli G ed E. Si ipotizza che la fonte di questo anello sia lo schianto di una meteoroide al largo di Giano ed Epimeteo . Nel luglio 2006, sono state restituite immagini dei laghi di idrocarburi vicino al polo nord di Titano, la cui presenza è stata confermata nel gennaio 2007. Nel marzo 2007, sono stati trovati mari di idrocarburi vicino al polo nord, il più grande dei quali ha quasi la dimensione di il Mar Caspio. Nell'ottobre 2006, la sonda ha rilevato una tempesta simile a un ciclone di 8.000 km di diametro sul polo sud di Saturno.
Dal 2004 al 2 novembre 2009, la sonda ha scoperto e confermato otto nuovi satelliti. Nell'aprile 2013 Cassini ha rispedito le immagini di un uragano sul polo nord del pianeta 20 volte più grande di quelli trovati sulla Terra, con venti più veloci di 530 km/h. Il 15 settembre 2017, l'astronave Cassini-Huygens ha eseguito il "Grand Finale" della sua missione: una serie di passaggi attraverso gli spazi tra Saturno e gli anelli interni di Saturno.
L'ingresso in atmosfera di Cassini ha concluso la missione.


Osservazione:
Il momento migliore per osservare Saturno e i suoi anelli è l'opposizione, quando l'elongazione del pianeta è di 180º e Saturno si trova quindi nella parte di cielo opposta al Sole. Saturno appare a occhio nudo nel cielo notturno come un luminoso punto giallastro con una magnitudine apparente solitamente compresa tra 1 e 0. Il suo diametro è troppo piccolo per poterlo percepire e a occhio nudo il pianeta appare sempre come un punto quindi è necessario un telescopio o un binocolo con almeno 30 ingrandimenti per potere distinguere il disco del pianeta e gli anelli. Saturno ha un periodo di rivoluzione di 29,5 anni e circa ogni 15 anni, quando si trova in determinati punti della sua orbita, gli anelli scompaiono brevemente dalla vista poiché vengono a trovarsi perfettamente di taglio visti dalla Terra.


Oltre che dalla distanza dalla Terra la luminosità di Saturno dipende anche dalla posizione degli anelli: se sono orientati in modo favorevole, come avvenne ad esempio nel 2002, sono maggiormente visibili e contribuiscono ad aumentare sensibilmente la luminosità apparente di Saturno.
Talvolta Saturno, come altri corpi del sistema solare che giacciono nei pressi dell'eclittica, è occultato dalla Luna. Nel caso di Saturno il fenomeno ha luogo con determinati cicli: a un periodo di dodici mesi, durante i quali il pianeta viene occultato dodici volte dalla Luna, segue un periodo di circa cinque anni, durante il quale non si verificano occultazioni. Questo succede perché l'orbita della Luna intorno alla Terra è inclinata rispetto all'orbita della Terra attorno al Sole, e solo quando Saturno si trova in corrispondenza del punto dove l'orbita della Luna attraversa il "piano dell'eclittica" avvengono le occultazioni.
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I satelliti:
Sono noti 62 satelliti di cui 3 ancora incerti, ma ne sono stati osservati molti altri (oltre 90, ma la natura di alcuni è contesa sulla differenza tra grossi frammenti ghiacciati degli anelli e corpi satellitari). Due dei quali, Titano e Encelado, mostrano segni di attività geologica, anche se sono in gran parte criovulcani.

Titano è più grande di Mercurio di 270 km circa, ed è l'unico satellite del sistema solare ad avere una atmosfera densa formata da azoto e metano.

I satelliti Lodicei:


I satelliti scoperti dall'astronomo Gian Domenico Cassini, e sono detti ''Lodicei''.

Il nome ”Sidera Lodoicea” significa stelle di luigi, dal latino Sidus  “Stella ” e Lodoiceus, un aggettivo coniato da Lodoicus, una delle varie forme latine del nome francese Louis (che riflette una forma più vecchia, Lodhuwig), in Italiano Lodicei.

Cassini intendeva onorare il nome del re Luigi XIV di Francia, che regnò dal 1643 al 1715, e che era il benefattore di Cassini come patrono dell’Osservatorio di Parigi, di cui Cassini era il direttore.

Sono:
Giapeto, Rea, Dione, Teti. (vedi sotto)

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SCHEDA DEL SISTEMA DI SATURNO:
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Urano


                                                                                                                                     
Uranus2.jpg

Urano (19,19 UA), con 14,5 masse terrestri, è il pianeta esterno meno massiccio.

Dati Fisici:
Le dimensioni di Urano sono: diametro equatoriale di 51,118 km - diametro polare di 49.946 km.
Ha una densità di 1,271 kg/dm3, con una velocità di fuga pari a 21.3 km/s.
Ruota sul suo asse, inclinato di 97,77°, in 17h 14' 24'' in maniera retrograda.

Parametri orbitali:
Orbita attorno al Sole ad una distanza di 19,19 UA, con un periodo di rivoluzione di 84,011 anni e con una inclinazione assiale superiore a 90° rispetto all'eclittica forse data da un impatto con un altro corpo di 2,75 masse terrestri durante la sua formazione.
Urano ed i suoi satelliti ricevono un energia dal Sole pari a 3,69 W/m2.


Inclinazione dell'Asse:
La principale particolarità di Urano sta proprio nell'inclinazione del suo asse che è inclinato di 97,77° sul piano dell'orbita, pertanto l'asse di rotazione di Urano giace quasi sul suo piano orbitale.
Il polo nord celeste coincide con la stella Sabik dell'Ofiuco, mente il polo sud cade tra le costellazioni del Toro e dell'ariete senza particolari stelle luminose.
Di conseguenza uno dei due poli è diretto verso il Sole per metà dell'orbita, e per la successiva metà dell'orbita cade nella zona in ombra, lo stesso succede per i suoi satelliti.
Nel tratto intermedio all'inversione dei due poli rispetto al Sole, questo sorge e tramonta intorno all'equatore normalmente.
ascensione retta 
del polo nord
 17 h  9 m  15 s
(257.311 °)
Declinazione del polo nord
−15.175 ° 
( Mappa celeste con indicati i polo di Urano ).

L'impatto che l'ha sdraiato:
Gli astronomi pensano di sapere come mai Urano è stato posto su un fianco.
Secondo le dettagliate simulazioni al computer, un corpo grande circa il doppio della Terra si schiantò contro Urano tra i 3 e i 4 miliardi di anni fa.

L'impatto creò una stranezza nel nostro Sistema Solare:
- l'unico pianeta che ruota su un lato.
Lo studio che spiega questi risultati è stato guidato da Jacob Kegerreis, un ricercatore della Durham University.

Si basa su studi precedenti che indicano un impatto come causa dell'orientamento unico di Urano.
Secondo un estratto della loro presentazione all'AGU, "hanno eseguito una serie di simulazioni di idrodinamica delle particelle levigate (SPH) per indagare in dettaglio i risultati di un impatto gigantesco sul giovane Urano". SPH è un metodo computazionale sviluppato negli anni '70 per studiare i problemi astrofisici. È anche usato in balistica, vulcanologia e oceanografia.
I nostri risultati confermano che il risultato più probabile è stato che il giovane Urano è stato coinvolto in una collisione cataclismatica con un oggetto di circa due volte la massa della Terra, se non più grande, facendolo cadere di lato e mettendo in atto gli eventi che hanno contribuito a creare il pianeta che abbiamo vedi oggi - ha detto Kegerreis.


I risultati delle loro simulazioni spiegano non solo l'obliquità di Urano, ma anche alcune delle sue altre proprietà:
  • Urano non solo ruota su un lato, ma anche le sue cinque lune più grandi.
  • Anche il suo campo magnetico è sbilenco e non esce dai poli.
  • È l'unico pianeta in cui il calore interno non fuoriesce dal suo nucleo.
La simulazione mostra che un corpo grande circa il doppio della Terra si schiantò contro Urano, inclinandolo di circa 98 gradi. L'oggetto che si schiantò contro di esso era fatto di roccia e ghiaccio e parte di quel materiale cadde nel nucleo di Urano, ma non tutto lo ha fatto, e questo spiega perché Urano non disperde il calore dal suo nucleo: “Inoltre, la maggior parte del ghiaccio e dell'energia dell'impattatore viene depositata in un guscio caldo ad alta entropia e questo potrebbe spiegare l'osservata mancanza di flusso di calore di Urano dall'interno.

Lo studio afferma inoltre che ciò potrebbe aiutare a spiegare lo strano campo magnetico del pianeta. Mentre il campo magnetico terrestre è inclinato dai suoi poli geografici di 11 gradi, il campo di Urano è inclinato di 59 gradi.

La simulazione suggerisce anche che le lune di Urano si formarono dopo la collisione. Probabilmente ci fu un anello di detriti come risultato dell'impatto e le lune si formarono da quei detriti.
Ecco perché le cinque lune più grandi ruotano sullo stesso asse del pianeta.

LINK : https://agu.confex.com/agu/fm18/meetingapp.cgi/Paper/386791 

L'atmosfera:
L'atmosfera è composta da idrogeno (83%), elio (15%), metano (2%) e con tracce di acqua ed ammoniaca, il Metano è quello che ne determina la tipica colorazione azzurra.
Le capacità degli strumenti di rilevazione hanno permesso di raggiungere una profondità di circa 300 km al di sotto dello strato alla pressione di 1 bar assunto come zero altimetrico, a cui corrispondono una pressione di 100 bar ed una temperatura di 320 K.
L'atmosfera può essere divisa in tre strati: la troposfera, ad un'altitudine compresa tra i -300 sotto al livello dove la pressione è pari a un bar e 50 km, con pressioni che variano da 100 a 0,1 bar (10 MPa a 10 kPa), la stratosfera, ad altitudini tra i 50 e 4.000 km e pressioni tra 0,1 e 10−10 bar (10 kPa a 10 Pa), e la termosfera o corona, che si estende da 4.000 km a 50.000 km sulla superficie.

Nell'autunno 2018 il telescopio spaziale Hubble ha fornito un ritratto aggiornato del sistema nuvoloso che circola da lungo tempo attorno alle regioni polari settentrionali di Urano.
L’immagine di Urano rivela una caratteristica dominante: un vasto mantello luminoso di nubi sopra il polo nord. Gli scienziati ritengono che questa formazione sia il risultato della peculiare rotazione di Urano. A differenza di ogni altro pianeta del sistema solare, infatti, Urano è ribaltato quasi sul fianco. A causa di questa estrema inclinazione, durante l’estate del pianeta il Sole splende quasi direttamente sul polo nord e non tramonta mai.
Urano si sta ora entrando nel pieno della sua stagione estiva, e la cappa polare probabilmente originata dai cambiamenti stagionali nel flusso atmosferico, diventa sempre più prominente.
Vicino al bordo del manto nuvoloso si trova una grande e compatta nube di metano ghiacciato, a volte è abbastanza brillante da essere fotografata anche da astronomi dilettanti.

( Immagini ad Infrarossi ).

Atmosfera esterna ed aurore:
L'atmosfera superiore esterna gioca un ruolo fondamentale nel collegare l'atmosfera alle forze e ai processi contenuti nel campo magnetico. Ad esempio, i sistemi di corrente aurorale possono guidare particelle cariche nell'atmosfera, riscaldandola tramite riscaldamento Joule. 
Osservazioni terrestri della molecola H3+ forniscono una potente diagnostica remota delle proprietà fisiche e dei processi che si verificano nell'alta atmosfera ed esiste un ricco set di dati per Urano. Queste osservazioni abbracciano quasi tre decenni e hanno rivelato che l'alta atmosfera si è continuamente raffreddata tra il 1992 e il 2018 di circa 8 K / anno , e cioè da∼750 K a ∼500 K. 
La ragione di questa tendenza rimane poco chiara, ma potrebbe essere correlata a variazioni stagionali delle velocità di riscaldamento Joule dovute al campo magnetico inclinato e sfalsato, o potrebbe essere correlata al cambiamento delle distribuzioni verticali degli idrocarburi.

L'atmosfera superiore è definita come la regione dell'atmosfera in cui domina la diffusione molecolare. Qui, le specie si separano con l'altitudine in base al loro peso atomico o molecolare, in modo che la loro distribuzione verticale sia regolata dall'altezza della loro scala. 
Nei pianeti giganti, le specie più pesanti vengono separate molto rapidamente nella parte inferiore di questa regione, in modo che sia dominata ad altitudini più elevate dall'idrogeno atomico e molecolare. L'atmosfera superiore è limitata rispetto all'atmosfera inferiore (mesosfera, stratosfera e troposfera) dall'omopausa, la linea alla quale la diffusione molecolare e la diffusione parassita sono uguali. 
La diffusione parassita, detta anche miscelazione turbolenta, è il processo in cui i pacchetti atmosferici si muovono alla rinfusa, producendo un'atmosfera ben miscelata. 
Il confine ad alta quota dell'alta atmosfera è l'exobase, dove il percorso libero medio è uguale all'altezza della scala dell'idrogeno atomico.
L'alta atmosfera ha due componenti fondamentali, la termosfera neutra e la ionosfera di particelle cariche. La ionosfera è formata dall'ultravioletto estremo (EUV) solare tramite fotoionizzazione o ionizzazione da impatto mediante particelle cariche sospinte nell'atmosfera dal processo aurorale. L'idrogeno atomico viene ionizzato dall'impatto sia solare che particellare per formare H+ e l'idrogeno molecolare viene convertito in H2+.

Poiché la ionosfera è carica, i suoi costituenti sono soggetti alle forze esercitate dal campo magnetico. Questa regione è quindi un importante strato di interfaccia tra il pianeta e la magnetosfera. 
Ad esempio, le linee di campo che vengono accelerate dalla rotazione rigida della magnetosfera trascineranno (o attireranno) il plasma ionosferico, impartendo slancio all'atmosfera tramite collisioni ioniche neutre. Al contrario, il movimento del plasma ionosferico può imporre ulteriori correnti nel sistema magnetosferico, spostando l'energia dall'atmosfera in quella più ampia della magnetosfera.
Le emissioni aurorali vengono prodotte quando le correnti allineate al campo, facente parte di
vasti circuiti di correnti aurorali che si chiudono nella ionosfera, interagiscono anche con l'atmosfera
tramite eccitazione o ionizzazione dei suoi componenti. 
Il primo produce principalmente emissioni in ultravioletto da H e H2, mentre quest'ultimo produce H3+ che emette termicamente nel vicino infrarosso. 
Quando correnti magnetosferiche su larga scala si chiudono nella ionosfera generano correnti all'interno dell'atmosfera e la riscaldano mediante riscaldamento Joule, un processo che può produrre fino ad alcuni TeraWatt di energia nelle regioni aurorali di Giove e Saturno.

L'energia viene persa dall'atmosfera superiore attraverso la conduzione del calore verso le quote inferiori e dal raffreddamento radiativo di H3+. 
Questa molecola è un emettitore molto efficiente e può rimuovere quantità significative di energia dall'atmosfera. La quantità di energia irradiata da H3+ è guidata in modo esponenziale dalla temperatura ambiente e linearmente dalla densità di H3+, quindi il raffreddamento diventa più efficiente negli ambienti più caldi e densi. 

( Le osservazioni aurorali proiettate di Urano da Herbert et al. , riportato per epoche diverse, per un periodo di 40 anni, visti dalla Terra. Le regioni chiare indicano un'emissione aurorale brillante ).


Campo Magnetico:
Il campo magnetico di Urano ha una peculiare caratteristica: è inclinato di 58,6° rispetto all'asse di rotazione del pianeta, al differenza di quello terrestre e di quello degli altri giganti gassosi, suggerendo che questa caratteristica potrebbe essere comune nei giganti ghiacciati.
La spiegazione per tale ipotesi è che, al contrario dei campi magnetici della Terra e degli altri pianeti, che hanno campi magnetici generati nel loro nucleo, i campi magnetici dei giganti di ghiaccio sono generati dal movimento di materia a profondità relativamente basse, come ad esempio un oceano di acqua e ammoniaca, la magnetosfera di Urano risulta pertanto fortemente asimmetrica, con l'intensità del campo magnetico sulla superficie che va da 0,1 gauss (10 microtesla) dell'emisfero meridionale e può arrivare a 1,1 gauss (110 microtesla) nell'emisfero nord, ed una media in superficie di 0,23 gauss.


Formazione di plasmoidi:
In un recente studio pubblicato su Geophysical Research Letters i ricercatori hanno scoperto che, al momento del flyby del Voyager 2 avvenuto il 24 gennaio 1986, nella coda della magnetosfera di Urano c'era un plasmoide, formato in gran parte da idrogeno ionizzato, in fuga dal pianeta. Si tratta della prima rilevazione di un plasmoide nella magnetosfera di un gigante ghiacciato e rappresenta, per Urano, un importante meccanismo per la perdita dell'atmosfera.

In attesa di una nuova missione spaziale verso Urano, una cosa che si può fare è rianalizzare i vecchi dati trasmessi dal Voyager 2 per vedere se c’è qualcosa  sfuggito ai ricercatori.
Ed è quello che hanno fatto Gina DiBraccio e Daniel J. Gershman, del Goddard Space Flight Center della Nasa.

DiBraccio e Gershman hanno ripreso in mano i dati sul campo magnetico di Urano misurati dal magnetometro del Voyager 2 che ne registrava direzione e intensità a mano a mano che la sonda si spostava nell’ambiente circumplanetario.
A differenza del passato però hanno analizzato i valori del campo magnetico ogni 1,9 secondi (invece che diversi minuti),  ossia hanno aumentato la risoluzione spaziale.
Considerata la velocità del Voyager 2 al momento del flyby con Urano, significa campionare il campo magnetico ogni 50 km circa.
La nuova analisi dei dati ha rivelato nella coda della magnetosfera, alla distanza di 54 raggi di Urano, la presenza di un plasmoide in allontanamento dal pianeta. Si tratta del primo plasmoide mai osservato nella magnetosfera di un gigante ghiacciato.

Un plasmoide è semplicemente una  bolla di plasma o gas ionizzato, che assume una forma definita grazie all’azione di contenimento di un campo magnetico esterno. Queste strutture si formano quando le linee di forza dei campi magnetici nella coda della magnetosfera planetaria  si riconnettono fra di loro. Confrontando i risultati con i plasmoidi osservati nelle magnetosfere di Giove, Saturno e Mercurio, DiBraccio e Gershman hanno stimato per il plasmoide di Urano una forma cilindrica, con una lunghezza di almeno 204mila km e una larghezza fino a circa 400mila km. Come tutti i plasmoidi planetari, anche questo era composto da particelle elettricamente cariche – principalmente idrogeno ionizzato – che, in precedenza, apparteneva all’atmosfera di Urano. In casi come questo le forze elettromagnetiche hanno il sopravvento sulla forza di gravità perché sono molto più intense e, da questo punto di vista, la presenza di un campo magnetico diventa un fattore fisico in grado di drenare l’atmosfera.

Su tempi scala sufficientemente lunghi, i plasmoidi in fuga dalla magnetosfera possono sottrarre ioni dall’atmosfera di un pianeta, cambiandone radicalmente la sua composizione. Non ci si aspettava di trovare plasmoidi come quello osservato se la magnetosfera fosse dovuta solo al vento solare, quindi ci devono essere delle forze interne ad Urano che causano un trasporto di massa nella magnetosfera. Al momento non è chiaro quale possa essere il processo fisico in atto. Plasmoidi potrebbero essere presenti anche nella coda magnetosferica di Nettuno, ma non ci sono dati del Voyager 2 per via della traiettoria seguita durante il flyby del 1989.

Secondo le stime di DiBraccio e Gershman, i plasmoidi come quello osservato potrebbero contribuire tra il 15 per cento e il 55 per cento per la perdita di massa dell’atmosfera di Urano, una percentuale maggiore rispetto a Giove o Saturno. In sostanza, questo potrebbe essere il meccanismo dominante con cui Urano diffonde la sua atmosfera nello spazio. Al momento, con una sola osservazione isolata nel tempo, non è possibile dire se il plasmoide osservato sia la regola oppure l’eccezione e quale processo determini il trasporto di massa nella magnetosfera.

Gli Anelli:
Urano ha anch'esso come gli altri giganti, un sistema di anelli appena percettibile, composto da materia scura e polverizzata fino a 10 km di diametro.

Dalla Terra, gli anelli di Urano sono invisibili a tutti tranne che ai più grandi telescopi. Fino al 1977 non si sapeva nemmeno che esistessero: vennero scoperti in modo fortuito studiando l’occultazione di una stella da parte del pianeta, quando la stella scomparve dalla vista molto prima del previsto, proprio a causa degli anelli.

Urano è dotato di due sistemi di anelli, uno interno e l'altro esterno, in totale possiede 13 anelli distinti di cui 11 nel sistema interno e 2 in quello esterno.

ANELLI INTERNI - La sonda spaziale Voyager 2 ha fotografato il sistema di anelli interno nel 1986, gli astronomi avevano progettato di usare l'occultazione di una stella, la SAO 158687, da parte di Urano per poter studiare l'atmosfera del pianeta, ma quando analizzarono le loro osservazioni scoprirono che la stella era scomparsa brevemente dalla vista cinque volte prima e dopo l'occultamento da parte del pianeta.

ANELLI ESTERNI - Il sistema di anelli esterno è invece composto da due anelli scoperti nel 2005 analizzando le immagini riprese dal telescopio spaziale orbitante Hubble.
Nel mezzo dell'Anello Mu si trova ad orbitare il satellite Mab e gli scienziati ipotizzano che rifornisca costantemente di materia l'anello tramite collisioni con meteoroidi. Mab inoltre raccoglie la polvere che incontra nella sua orbita per poi rilasciarla al successivo impatto, tale polvere si pensa sia in gran parte ghiaccio molto fine, visto che il suo colore tende al blu.
L'Anello Nu più interno invece non sembra avere un corpo attualmente conosciuto che lo rifornisca di materiali, ma si pensa che vi siano più satelliti di piccole dimensioni al suo interno oppure che si sia formato a causa dell'impatto di una grossa luna di Urano, impatto che ha modificato la sua orbita portandola all'esterno dell'anello, che tende al colore rosso.


Gli anelli sono nel piano dell'equatore di Urano perpendicolari all'orbita del pianeta rispetto al Sole. Sono formati da materiale fine e molto scuro, probabilmente sono costituiti principalmente da polvere e non da ghiaccio come gli anelli di Saturno spiegando così la loro così scarsa luminosità.


Le nuove immagini scattate dai due grandi telescopi in Cile hanno permesso al team di misurare per la prima volta la temperatura degli anelli: un fresco 77 Kelvin (circa -196 gradi Celsius), corrispondente alla temperatura di ebollizione dell’azoto liquido. La temperatura osservata è più elevata del previsto per le particelle osservate, disposte su un anello in rapida rotazione, il che significa che i dati favoriscono un modello nel quale l’inerzia termica delle particelle dell’anello è bassa e/o la loro velocità di rotazione è lenta. Queste osservazioni sono coerenti con le osservazioni ottiche e nel vicino infrarosso, confermando l’ipotesi che la polvere di dimensioni dell’ordine del micron non sia presente nel sistema ad anelli.

Le osservazioni confermano che l’anello più luminoso e denso di Urano, chiamato anello epsilon, è diverso dagli altri anelli conosciuti all’interno del nostro Sistema solare: in particolare, è diverso dagli anelli spettacolari di Saturno. Gli anelli prevalentemente ghiacciati di Saturno sono ampi, luminosi e le particelle di cui sono costituiti vanno dalla polvere di dimensioni di qualche micron nell’anello D più interno, a decine di metri negli anelli principali. L’anello più luminoso, l’anello epsilon, è composto da rocce le cui dimensioni vanno da una palla da golf a dimensioni maggiori.

A LATO : Immagine nel vicino infrarosso del sistema degli anelli di Urano, scattata con il sistema di ottica adattiva al telescopio Keck da 10 m nel luglio 2004. Questa immagine, presa a 2.2 micron di lunghezza d’onda, mostra il sistema principale di anelli, in luce solare riflessa. È stata scelta questa particolare lunghezza d’onda poiché Urano è scuro, poiché il gas metano nella sua atmosfera assorbe la maggior parte della luce solare in arrivo, e gli anelli relativamente deboli risaltano. Tra gli anelli principali, che sono composti da particelle le cui dimensioni sono dell’ordine di cm o più grandi, si possono scorgere fogli di polvere ).

Per confronto, gli anelli di Giove contengono particelle di piccole dimensioni, di qualche micron. Gli anelli di Nettuno sono per lo più costituiti da polvere, e anche Urano ha grandi strati di polvere tra i suoi stretti anelli principali. La mancanza di particelle di dimensioni della polvere negli anelli principali di Urano fu notata per la prima volta dal Voyager 2, quando si avvicinò al pianeta nel 1986 e li fotografò. Tuttavia, la sonda spaziale non fu in grado di misurare la temperatura degli anelli.
Che l’anello epsilon fosse un po’ strano già lo sapevamo, perché in esso non si vedono componenti più piccoli.

Qualcosa sta spazzando via i corpi più piccoli, oppure si sono compattati tra loro. Non lo sappiamo ancora. Questo è un passo verso la comprensione della loro composizione e provenienza, ossia se tutti gli anelli provengono dallo stesso materiale, oppure sono diversi per ogni anello.

( A LATO : Immagine composita dell’atmosfera e degli anelli di Urano alle lunghezze d’onda radio, scattata con Alma nel dicembre 2017. L’immagine mostra per la prima volta l’emissione termica, o calore, dagli anelli di Urano, consentendo agli scienziati di determinare la loro temperatura. Le bande scure nell’atmosfera di Urano a queste lunghezze d’onda mostrano la presenza di molecole che assorbono i raggi X, in particolare il gas idrogeno solforato (H2S), mentre le regioni luminose come il polo nord contengono pochissime di queste molecole ).

Gli anelli di Urano hanno una composizione diversa dall’anello principale di Saturno, nel senso che nell’ottico e nell’infrarosso l’albedo è molto più basso: sono davvero scuri come il carbone.
Sono anche estremamente stretti rispetto agli anelli di Saturno: il più largo, l’anello epsilon, varia da 20 a 100 chilometri di larghezza, mentre quelli di Saturno sono 100 o decine di migliaia di chilometri di larghezza.
Gli anelli potrebbero essere ex-asteroidi catturati dalla gravità del pianeta, resti di lune che si schiantarono l’una contro l’altra e si frantumarono, resti di lune distrutte quando si sono avvicinate troppo a Urano, o detriti rimasti da 4.5 miliardi di anni fa, quando il Sistema solare si è formato.

LINK: Leggi su Astronomical Journal l’articolo “Thermal Emission from the Uranian Ring System


Struttura:
Urano ha un nucleo molto freddo rispetto agli altri giganti gassosi, quindi irradia pochissimo calore nello spazio, difatti Urano ha anche l'atmosfera più fredda del sistema solare, con una temperatura minima che può scendere fino a −224 °C.
La composizione chimica di Urano è simile a quella di Nettuno ed entrambi hanno una composizione differente rispetto a quella dei giganti gassosi più grandi (Giove e Saturno). Per questa ragione gli astronomi talvolta preferiscono riferirsi a questi due pianeti trattandoli come una classe separata, i "giganti ghiacciati". L'atmosfera del pianeta, sebbene sia simile a quella di Giove e Saturno per la presenza abbondante di idrogeno ed elio, contiene una proporzione elevata di "ghiacci", come l'acqua, l'ammoniaca e il metano, assieme a tracce di idrocarburi.

Per quanto riguarda la struttura interna si ipotizzano esotici stati fisici per l'acqua ad alte pressioni e temperature nel mantello con un involucro esterno di acqua ionica, una ''zuppa'' di ossigeno ed idrogeno non legati e mischiati anche ad altri elementi come carbonio ed azoto derivanti da ammonica e metano. Per la zona più interna del mantello si crede che ci sia la presenza di acqua super-ionica dove l'ossigeno forma reticoli cubici e l'idrogeno che si muove liberamente forma un campo elettrico in grado di spiegare il peculiare campo magnetico di Urano.

Nello schema in nero è rappresentato lo strato di ghiaccio super-ionico che seppur fluido è duro come il ferro e di colore nero ).

LINK - PDF : 
Superionic to superionic phase change in water: consequences for the interiors of Uranus and Neptune 
- Metallic liquid H3O in a thin-shell zone inside Uranus and Neptune 

LA STORIA DI URANO

Come gli altri pianeti classici , Urano è visibile ad occhio nudo, ma non è mai stato riconosciuto come un pianeta da antichi osservatori a causa della sua poca luminosità e dell'orbita lenta.
Sir William Herschel annunciò la sua scoperta il 13 marzo 1781, ampliando i confini noti del Sistema Solare per la prima volta nella storia e facendo di Urano il primo pianeta scoperto con un telescopio .

Osservazioni precedenti:
Urano precedentemente era stato osservato in molte occasioni prima del suo riconoscimento come pianeta, ma era generalmente scambiato per una stella.
Forse la più antica delle osservazioni noto fu di Ipparco, che nel 128 AC , l'avrebbe registrato come una stella per il suo catalogo stellare, la quale fu poi incorporata da Tolomeo nell'Almagesto .
Il primo avvistamento definito fu nel 1690, quando John Flamsteed lo osservò almeno sei volte, catalogandolo però come 34 Tauri .
Il caso più curioso fu dell'astronomo francese Pierre Charles Le Monnier, che osservò Urano almeno dodici volte tra il 1750 e il 1769, una volta anche per quattro notti consecutive.
Quest'ultimo, se avesse elaborato puntigliosamente le sue osservazioni, avrebbe potuto riconoscere il moto proprio dell'oggetto, ma fu vittima del suo stesso disordine: una delle sue osservazioni fu trovata segnata su una carta da pacchi usata per conservare la cipria per capelli. Questi astronomi d'altronde  non sospettavano l'esistenza di altri pianeti oltre Saturno, semplicemente perché nessuno, questa idea, l'aveva mai presa in considerazione.

La scoperta di Sir William Herschel:
Sir William Herschel osservò Urano il 13 marzo 1781 dal giardino della sua casa al 19 New King Street a Bath, nel Somerset , in Inghilterra (ora Museo dell'astronomia di Herschel ), e inizialmente lo riferì (il 26 aprile 1781) come cometa . Con un telescopio, Herschel "si impegnò in una serie di osservazioni sulla parallasse delle stelle fisse".

Herschel nel suo diario registrò : "Nel quartile vicino a ζ Tauri  ... o stella nebulosa o forse una cometa".
Mente il 17 marzo notò : "Ho cercato la cometa o la stella nebulosa e ho scoperto che è una cometa, perché ha cambiato il suo posto".

Quando presentò la sua scoperta alla Royal Society , continuò ad affermare di aver trovato una cometa, ma anche implicitamente la paragonò a un pianeta:

<< Il potere che avevo quando vidi per la prima volta la cometa era 227. Per esperienza, so che i diametri delle stelle fisse non sono ingranditi proporzionalmente con potenze superiori, come lo sono i pianeti; quindi ora metto i poteri a 460 e 932, e scoprii che il diametro della cometa aumentava in proporzione al potere, come avrebbe dovuto essere, supponendo che non fosse una stella fissa, mentre i diametri delle stelle che ho confrontato non sono aumentati nello stesso rapporto. Inoltre, essendo la cometa ingrandita molto al di là di ciò che la sua luce avrebbe ammesso, appariva confusa e mal definita con questi grandi poteri, mentre le stelle conservavano quella lucentezza e quel carattere distinto che da molte migliaia di osservazioni sapevo che avrebbero conservato. Il sequel ha dimostrato che le mie supposizioni erano fondate, dimostrando di essere la cometa che abbiamo osservato di recente. >>

Herschel informò l'astronomo reale Nevil Maskelyne della sua scoperta e ricevette questa risposta confusa da lui il 23 aprile 1781: "Non so come chiamarlo. È altrettanto probabile che sia un pianeta normale che si muove in un'orbita quasi circolare verso l'orbita il sole come una cometa che si muove in ellissi molto eccentriche. Non ho ancora visto alcun coma o coda. "

a lato la replica del telescopio di Herschel ).

Sebbene Herschel continuasse a descrivere il suo nuovo oggetto come una cometa, altri astronomi avevano già iniziato a sospettare diversamente.
L'astronomo finlandese-svedese Anders Johan Lexell, che lavorava in Russia, fu il primo a calcolare l'orbita del nuovo oggetto, e la sua orbita quasi circolare lo portò alla conclusione che era un pianeta piuttosto che una cometa.
L'astronomo Berlinese Johann Elert Bode ha descritto la scoperta di Herschel come "una stella in movimento che può essere considerata un oggetto simile a un pianeta fino ad allora sconosciuto che circola oltre l'orbita di Saturno". Bode concluse che la sua orbita quasi circolare era più simile a quella di un pianeta che a quella di una cometa.

L'oggetto fu presto universalmente accettato come un nuovo pianeta. Nel 1783, Herschel lo riconobbe al presidente della Royal Society Joseph Banks : "Dall'osservazione dei più eminenti astronomi in Europa sembra che la nuova stella, che ho avuto l'onore di far loro notare nel marzo 1781, sia un pianeta primario di il nostro sistema solare."
In riconoscimento del suo successo, il re Giorgio III diede a Herschel uno stipendio annuale di 200 sterline, a condizione che si trasferisse a Windsor in modo che la Famiglia Reale potesse guardare attraverso i suoi telescopi (equivalenti a circa £ 24.000 nel 2019).

Denominazione:
Il nome di Urano fa riferimento all'antica divinità greca del cielo Urano (greco antico : Οὐρανός), il padre di Crono (Saturno) e il nonno di Zeus (Giove), che in latino divenne Ūranus (IPA: [ˈuːranʊs]).
È l'unico pianeta il cui nome deriva direttamente da una figura della mitologia greca .
Il consenso sul nome non è stato raggiunto fino a quasi 70 anni dopo la scoperta del pianeta. Durante le discussioni originali a seguito della scoperta, Maskelyne ha chiesto a Herschel di "fare del mondo astronomico il migliore [ sic ] per dare un nome al tuo pianeta, che è interamente tuo, di cui ti siamo tanto obbligati per la scoperta di ".
In risposta alla richiesta di Maskelyne, Herschel decise di nominare l'oggetto Georgium Sidus (George's Star), o il "Pianeta georgiano" in onore del suo nuovo patrono, re Giorgio III. Spiegò questa decisione in una lettera a Joseph Banks:

<< Nelle epoche favolose dei tempi antichi le denominazioni di Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno furono date ai Pianeti, come i nomi dei loro principali eroi e divinità. Nell'attuale epoca più filosofica difficilmente sarebbe possibile ricorrere allo stesso metodo e chiamarlo Giunone, Pallade, Apollo o Minerva, per un nome al nostro nuovo corpo celeste. La prima considerazione di un evento particolare, o di un incidente notevole, sembra essere la sua cronologia: se in qualsiasi epoca futura dovesse essere chiesto, quando verrà scoperto l'ultimo Pianeta ritrovato? Sarebbe una risposta molto soddisfacente dire: "Nel regno di Re Giorgio III". >>

Il nome proposto da Herschel non era popolare al di fuori della Gran Bretagna e presto furono fatte proposte alternative.
L'astronomo Jérôme Lalande propose di chiamarlo Herschel in onore del suo scopritore.
L'astronomo svedese Erik Prosperin ha proposto il nome Nettuno , che è stato sostenuto da altri astronomi a cui è piaciuta l'idea di commemorare le vittorie della flotta navale reale britannica nel corso della guerra rivoluzionaria americana chiamando il nuovo pianeta persino Nettuno Giorgio III o Nettuno Gran Bretagna .
In un trattato del marzo 1782, Bode propose Urano , la versione latinizzata del dio greco del cielo, Ouranos . Bode sostenne che il nome avrebbe dovuto seguire la mitologia per non distinguersi dagli altri pianeti e che Urano era un nome appropriato come padre della prima generazione dei Titani .
Ha anche notato che l'eleganza del nome in quanto proprio come Saturno era il padre di Giove , il nuovo pianeta dovrebbe essere chiamato come il padre di Saturno. Nel 1789, alla Royal Academy di Bode, il suo collega Martin Klaproth ha nominato il suo elemento di uranio appena scoperto a sostegno della scelta di Bode. Alla fine, il suggerimento di Bode divenne il più ampiamente usato e divenne universale nel 1850 quando l'HM Nautical Almanac Office, passò dall'uso di Georgium Sidus a Urano .

Urano ha due simboli astronomici . Il primo a essere proposto, ♅, fu suggerito da Lalande nel 1784. In una lettera a Herschel, Lalande lo descrisse come "un globo surmonté per la première lettre de votre nom" ("un globo sormontato dalla prima lettera di il tuo cognome"). Una proposta successiva fu ⛢, che è un ibrido dei simboli di Marte e del Sole perché Urano era il Cielo nella mitologia greca, che si pensava fosse dominato dai poteri combinati del Sole e di Marte.

Urano è chiamato da una varietà di traduzioni in altre lingue. In cinese , giapponese , coreano e vietnamita , il suo nome è letteralmente tradotto come "stella del re del cielo" ( 天王星 ).
In tailandese , il suo nome ufficiale è Dao Yurenat (ดาว ยูเรนัส), come in inglese. L'altro nome in tailandese è Dao Maritayu (ดาว มฤตยู, Stella di Mṛtyu), il termine sanscrito per "morte", Mrtyu (मृत्यु).
In mongolo , il suo nome è Tengeriin Van (Тэнгэрийн ван), tradotto come "Re del cielo", che riflette il ruolo del dio omonimo come sovrano dei cieli. In hawaiano , il suo nome è Hele'ekala , una parola in prestito per lo scopritore Herschel. In Maori , il suo nome è Whērangi .

Visibilità osservativa:
Il pianeta manifesta fluttuazioni nella luminosità, ben documentate, determinate sia da cambiamenti fisici dell'atmosfera, sia da fattori geometrici e prospettici. La luminosità di Urano è influenzata dalla sua distanza dal Sole, dalla distanza dalla Terra e dalla particolare vista che offre al nostro pianeta: Urano appare leggermente più grande e più luminoso quando mostra le regioni polari alla Terra.

Inoltre è stata individuata una correlazione tra l'attività solare e la luminosità del pianeta: durante i periodi di intensa attività solare, le fluttuazioni nella luminosità del pianeta sono più pronunciate.
La magnitudine apparente media di Urano è 5,68 con una deviazione standard di 0,17, mentre gli estremi sono 5,38 e +6,03. Questa gamma di luminosità è vicina al limite della visibilità ad occhio nudo . Gran parte della variabilità dipende dalle latitudini planetarie che vengono illuminate dal Sole e viste dalla Terra. [66] Il suo diametro angolare è compreso tra 3,4 e 3,7 secondi d'arco, rispetto ai 16-20 secondi d'arco per Saturno e tra 32 e 45 secondi d'arco per Giove.
All'opposizione, Urano è visibile ad occhio nudo nei cieli scuri e diventa un bersaglio facile anche in condizioni urbane con il binocolo. Nei telescopi amatoriali più grandi con un diametro obiettivo compreso tra 15 e 23 cm, Urano appare come un disco ciano pallido con oscuramento distinto degli arti . Con un grande telescopio di 25 cm o più , possono essere visibili i modelli di nuvole e alcuni dei satelliti più grandi, come Titania e Oberon .

Esplorazione:
Nel 1986, la sonda NASA Voyager 2 ha incontrato Urano. Questo sorvolo rimane l'unica indagine su Urano effettuata a breve distanza e non sono previste altre visite. Lanciato nel 1977, Voyager 2 ha avvicinato Urano il 24 gennaio 1986, arrivando a 81.500 km (50.600 mi) dalle nubi, prima di continuare il suo viaggio verso Nettuno. La navicella spaziale ha studiato la struttura e la composizione chimica dell'atmosfera di Urano, compreso il suo clima unico, causato dalla sua inclinazione assiale di 97,77°.
Ha effettuato le prime indagini dettagliate sulle sue cinque lune più grandi e ne ha scoperte 10 nuove. Ha esaminato tutti e nove gli anelli noti del sistema e ne ha scoperti altri due.
Ha anche studiato il campo magnetico, la sua struttura irregolare, la sua inclinazione e il suo esclusivo campo magnetico a cavatappi causato dall'orientamento laterale di Urano.

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SCHEDA RIASSUNTIVA SUL SISTEMA DI URANO:
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Satelliti di Urano:
Urano ha 27 satelliti attualmente noti.
I satelliti regolari di Urano si distinguono per avere orbite quasi circolari e relativamente piccole (rispetto al campo gravitazionale del pianeta) e in aggiunta sono situati molto vicino al piano equatoriale del pianeta, e confrontando i dati raccolti tra il 1994 e la fine del 2005 mediante il telescopio spaziale Hubble e quelli ottenuti con il Voyager 2 si è visto che le orbite dei satelliti sono variate, si ipotizza che un processo casuale provochi uno scambio di energia e di momento angolare tra i satelliti, e secondo alcuni calcoli le lune dovrebbero collidere entro pochi milioni di anni.

I cinque satelliti principali - Miranda, Ariel, Umbriel, Titania e Oberon - fanno tutti parte del gruppo dei satelliti regolari; il loro periodo di rotazione è pari periodo orbitale (similmente a quando accade per la Luna con la Terra, cioè, essi rivolgono sempre lo stesso emisfero verso la superficie di Urano, secondo un moto di rotazione sincrona).

Il gruppo dei satelliti regolari comprende anche 13 lune minori, ovvero Cordelia, Ofelia, Bianca, Cressida, Desdemona, Giulietta, Porzia, Rosalinda, Cupido, Belinda, Perdita, Puck e Mab.
Si ritiene che tutti i satelliti regolari, che complessivamente sono diciotto, si siano formati mediante il tradizionale processo di accrescimento di dischi protoplanetari orbitanti intorno ad Urano, analogamente ai principali pianeti del sistema solare.

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Nettuno


                                                                                                                              
Neptune Full.jpg
  
Nettuno è l'ottavo e più lontano pianeta del Sistema solare partendo dal Sole. Si tratta del quarto pianeta più grande, considerando il suo diametro, e il terzo se si considera la sua massa.
Il nome del pianeta è dedicato al dio romano del mare; il suo simbolo è (♆), una versione stilizzata del tridente di Nettuno.

Dati fisici:
Nettuno , anche se leggermente più piccolo di Urano, ma è più massiccio (equivalente a 17,282 masse terrestri) e quindi più denso, pari a 1,638 kg/dm3, con una velocità di fuga di 23,5 km/s.
Esso irradia più calore interno rispetto a Urano, ma non tanto quanto Giove o Saturno.

Dati fisici
Diametro equatore49528 km
Diametro polare48681 km
Schiacciamento0,0171
Superficie7,619×1015 m²
Volume6,254×1022 m³
Massa1,0243×1026 kg
Densità media1638 kg/m³
Accelerazione di gravità in superficie11,15 m/s²
(1,14 g)
Velocità di fuga23,5 km/s
Periodo di rotazione16,11 ore
(16 h 6 min 36 s)
Velocità di rotazione
(all'equatore)
2680 m/s
Inclinazione assiale28,32°
Temperatura
superficiale
50 K (−223 °C) (min)
53 K (−220 °C) (media)
Albedo0,41

Parametri orbitali:
Orbita con un semiasse-maggiore di 30,069 UA , e compie una rivoluzione intorno al sole in 164,88 anni, a questa distanza riceve dal sole un energia pari a 1,5 W/m2.
Ha un'eccentricità orbitale di 0,00858587 , ed un inclinazione rispetto all'Eclittica di 1,76917°.

Parametri orbitali
(all'epoca J2000)
Semiasse maggiore4498252900 km
30,06896348 UA
Perielio4459631496 km
29,81079527 UA
Afelio4536874325 km
30,32713169 UA
Circonferenza orbitale28263000000 km
188,925 UA
Periodo orbitale60.223,3528 giorni
(164,88 anni)
Periodo sinodico367,49 giorni
Velocità orbitale5,385 km/s (min)
5,432 km/s (media)
5,479 km/s (max)
Inclinazione orbitale1,76917°
Inclinazione rispetto
all'equatore del Sole
6,43°
Eccentricità0,00858587
Longitudine del
nodo ascendente
131,72169°
Argomento del perielio273,24966°

Struttura:
Nettuno ha una composizione molto simile a quella di Urano ed entrambi hanno composizioni differenti da quelle dei più grandi pianeti gassosi Giove e Saturno. Per questo talvolta vengono classificati come i "giganti ghiacciati".
Internamente Nettuno è composto da un'atmosfera che forma circa il 5-10% della massa del pianeta, estendendosi dal 10 al 20% del suo raggio, dove raggiunge pressioni di circa 10 GPa. Nelle regioni più profonde sono state trovate concentrazioni crescenti di metano, ammoniaca e acqua.

La struttura interna di Nettuno:
(schema a lato)
 1. Atmosfera superiore, sommità delle nubi.
2. Atmosfera inferiore, costituita da idrogeno, elio e gas metano.
3. Mantello d'acqua, ammoniaca e metano ghiacciato.
4. Nucleo di roccia e ghiaccio.


Gradatamente questa zona più calda e oscura condensa in un mantello liquido surriscaldato, dove le temperature raggiungono valori compresi fra i 2.000 K ed i 5.000 K. Il mantello possiede una massa di 10-15 masse terrestri ed è ricco di acqua, ammoniaca, metano ed altre sostanze, ed è in realtà un fluido caldo e molto denso. Questo fluido, che possiede un'elevata conducibilità elettrica, e talvolta è chiamato "oceano di acqua e ammoniaca". Alla profondità di 7.000 km, lo scenario potrebbe essere quello in cui il metano si decompone andando a formare cristalli di diamante che precipitano verso il centro.


Recenti studi ipotizzano la presenza di due stati ''esotici'' dell'acqua nel mantello sia di Nettuno ma anche di Urano, nella parte più esterna del mantello con la presenza di acqua ionica, un plasma super-denso dove gli atomi di ossigeno ed idrogeno si trovano mischiati in uno strano ''fango'' molto denso ad altissime pressioni e temperature, mentre nella parte più interna si ipotizza la presenza di acqua super-ionica dove gli atomi di ossigeno formano dei reticoli cubici e gli atomi di idrogeno si muovono liberamente tra di essi, questo stato, anche se inteso come fluido sarebbe durissimo come il ferro e di colore nero.
Il movimento degli atomi di idrogeno carichi tra i reticoli genera un campo elettrico che può spiegare la natura insolita dei campi magnetici dei due giganti ghiacciati.

( Grafico che indica gli stati fisici dell'acqua ad altissime pressioni e temperature ).

Il nucleo di Nettuno è composto da ferro, nichel e silicati, ed i modelli forniscono una massa di circa 1,2 masse terrestri. La pressione del nucleo si calcola di 7 Mbar, milioni di volte superiore a quella della superficie terrestre, e la temperatura potrebbe essere sui 5.400 K.


Atmosfera:
L'atmosfera di Nettuno, sebbene simile a quelle sia di Giove che di Saturno essendo composta principalmente da idrogeno ed elio, possiede anche maggiori proporzioni di "ghiacci", come acqua, ammoniaca e metano, assieme a tracce di idrocarburi e forse azoto.
In contrasto, l'interno del pianeta è composto essenzialmente da ghiacci e rocce come il suo simile Urano.
Le tracce di metano presenti negli strati più esterni dell'atmosfera contribuiscono a conferire al pianeta Nettuno il suo caratteristico colore azzurro intenso.
Nettuno possiede dei venti fortissimi, più di ogni altro pianeta nel Sistema Solare dotato di atmosfera. Sono state misurate raffiche a velocità superiori ai 2.100 km/h. All'epoca del sorvolo da parte della Voyager 2, nel 1989, l'emisfero sud del pianeta possedeva una Grande Macchia Scura , e la temperatura delle nubi più alte di Nettuno era di circa −218 °C, una delle più fredde del Sistema solare, a causa della grande distanza dal Sole, difatti riceve un millesimo dell'energia che arriva alla Terra.

( Immagini Hubble )

La nuova macchia scura del 2018:
Nel corso delle abituali osservazioni del tempo atmosferico sui pianeti più esterni del Sistema solare, il telescopio spaziale Hubble ha scoperto nell'autunno 2018, una nuova misteriosa macchia scura di tempesta su Nettuno , la nuova immagine, presa da Hubble mostra una tempesta in evoluzione: una macchia scura visibile nella parte centrale superiore.
Un nuovo studio condotto dall’Università di Berkeley (Usa), in via di pubblicazione su The Astronomical Journal, ha stimato che queste macchie scure appaiono periodicamente ogni 4-6 anni a diverse latitudini, scomparendo dopo circa due anni.
A destra della macchia scura compaiono “nuvole compagne” di un bianco brillante, che si formano quando il flusso dell’aria ambientale è perturbato e deviato verso l’alto, al di sopra del vortice scuro, causando il congelamento del metano in cristalli di ghiaccio. La nube lunga e sottile a sinistra della macchia scura è una formazione transitoria, che non fa parte del sistema temporalesco.
Non è chiaro come si formino queste tempeste ma, come nel caso della grande macchia rossa di Giove, i vortici scuri ruotano in senso anti-ciclonico e sembrano richiamare materiale da livelli più profondi nell’atmosfera di Nettuno.

Verso la fine dell'autunno del 2020 il telescopio spaziale Hubble ha ri-osservato il misterioso vortice su Nettuno allontanarsi improvvisamente dalla sua probabile morte in prossimità dell’equatore del gigantesco pianeta blu. La tempesta in questione, che è più ampia dell’Oceano Atlantico, è nata nell’emisfero settentrionale del pianeta ed è stata scoperta da Hubble nel settembre 2018. Un anno dopo, nuove osservazioni hanno mostrato come abbia iniziato a spostarsi in direzione sud, verso l’equatore, dove si prevedeva sarebbe svanita alla vista, dissolvendosi. Con grande sorpresa però, Hubble ha visto che il vortice ha cambiato direzione prima dello scorso agosto, dirigendosi nuovamente a nord. Sebbene negli ultimi 30 anni il telescopio spaziale abbia osservato simili macchie scure, questo comportamento atmosferico imprevedibile è stato qualcosa di assolutamente sorprendente.

Questa istantanea del telescopio spaziale Hubble rivela una tempesta scura (in alto, al centro) e l’emergere di una macchia scura più piccola nelle sue vicinanze (in alto, a destra) - Crediti: Nasa, Esa, Stsci, M.H. Wong, e L.A. Sromovsky e P.M. Fry ).

Altrettanto sorprendente è stato osservare che la tempesta non era sola. Nel gennaio di quest’anno, Hubble ha infatti individuato un’altra macchia scura più piccola che è apparsa temporaneamente vicino alla più grande. Potrebbe essersi trattato di una parte del gigantesco vortice che si è ”staccata” dalla principale, andando alla deriva per poi scomparire nelle successive osservazioni. Non era mai stato osservato un fenomeno simile, sebbene previsto dalle simulazioni.

La grande tempesta – che ha un diametro di 7400 chilometri – è la quarta macchia scura che Hubble ha osservato su Nettuno dal 1993. Altre due tempeste sono state scoperte dalla sonda Voyager 2 nel 1989 mentre volava vicino al lontano pianeta, ma erano già scomparse prima che Hubble potesse osservarle. Da allora, solo Hubble ha avuto la risoluzione e la sensibilità, nella luce visibile, per seguire queste caratteristiche sfuggenti, che sono apparse in sequenza e poi sono svanite, per una durata di circa due anni ciascuna.

I vortici scuri di Nettuno sono sistemi ad alta pressione che possono formarsi alle medie latitudini e migrare verso l’equatore. Iniziano rimanendo stabili a causa della forza di Coriolis, che fa ruotare in senso orario le tempeste dell’emisfero settentrionale, per via della rotazione del pianeta. Da notare che queste tempeste sono diverse dagli uragani sulla Terra, che ruotano in senso antiorario perché sono sistemi a bassa pressione. Tuttavia, quando una tempesta si sposta verso l’equatore, l’effetto Coriolis si indebolisce e la tempesta si dissolve. Questo comportamento è stato confermato da varie simulazioni al computer effettuate da diversi team ma, a differenza delle simulazioni, l’ultima tempesta gigante non è migrata nella “kill zone” equatoriale.

Le osservazioni di Hubble hanno anche rivelato che l’inversione del percorso del vortice si è verificata nello stesso momento in cui è apparsa una nuova macchia scura più piccola – di circa 6300 chilometri di diametro –  in prossimità del lato della macchia principale che si affaccia verso l’equatore, in una zona nella quale alcune simulazioni mostrano che si sarebbe verificato un disturbo. Tuttavia, i tempi di comparsa della macchia più piccola sono strani. «Quando ho visto per la prima volta la macchia più piccola, ho pensato che quella più grande fosse stata distrutta», riferisce Michael H. Wong dell’Università di Berkeley. «Non pensavo si stesse formando un altro vortice perché quello piccolo è più lontano, verso l’equatore, all’interno di questa regione di instabilità. Tuttavia non possiamo provare che i due vortici siano collegati. Rimane un completo mistero. È stato nel mese di gennaio che il vortice scuro ha interrotto il suo movimento e ha iniziato a muoversi di nuovo verso nord», aggiunge Wong. «Forse, spargere quel frammento è stato sufficiente a impedirgli di spostarsi verso l’equatore». I ricercatori stanno continuando ad analizzare ulteriori dati per capire se resti della macchia più piccola sono persistiti per il resto del 2020.

La macchia scura più grande è di circa 7400 chilometri di diametro, quella più piccola a destra è di circa 6300 chilometri ).

Un’altra caratteristica insolita della macchia scura è l’assenza di nubi luminose attorno a essa, che erano invece presenti nelle immagini di Hubble scattate quando il vortice è stato scoperto nel 2018. Apparentemente, le nubi sono scomparse quando il vortice ha interrotto il suo viaggio verso sud. Le nubi luminose si formano quando il flusso d’aria viene perturbato e deviato verso l’alto sopra il vortice, causando il probabile congelamento dei gas in cristalli di ghiaccio di metano. Secondo i ricercatori, la mancanza di nubi potrebbe rivelare informazioni su come si evolvono le macchie.

Altre osservazioni:

( Immagini ad Infrarossi che mettono in evidenza le zone con temperature più elevate che corrispondono alle tempeste osservate nel visibile - vedi sopra ).

Magnetosfera:
Nettuno ha un campo magnetico fortemente inclinato verso l'asse di rotazione di 47° e decentrato di almeno 0,55 raggi (circa 13.500 km) rispetto al nucleo fisico del pianeta.

Questo campo potrebbe essere generato da convezioni del fluido interno in un involucro sferico sottile di liquido conduttore elettrico (probabilmente composto da ammoniaca, metano e acqua) che causano un'azione dinamo.
Il campo magnetico alla superficie equatoriale di Nettuno è stimato sui 1,42 μT, per un momento magnetico di 2,16 × 1017 Tm³.

Il campo magnetico di Nettuno possiede una geometria complessa che include componenti non-dipolari, incluso un forte momento quadripolo che potrebbe superare in forza pure quello dipolo.
Il punto dove la magnetosfera inizia a rallentare il vento solare, è alla distanza di 34,9 volte il raggio del pianeta, invece la magnetopausa, ossia il punto in cui la pressione della magnetosfera controbilancia il vento solare, va dalla distanza di 23 fino a 26,5 volte il raggio di Nettuno.
La coda della magnetosfera si estende all'esterno fino ad almeno 72 volte il raggio del pianeta e probabilmente molto più in là.

Anelli:
Nettuno ha un sistema di anelli planetari, uno dei più sottili del Sistema solare.
Gli anelli potrebbero consistere di particelle legate con silicati o materiali composti da carbonio, che conferisce loro un colore tendente al rossastro.

In aggiunta al sottile Anello Adams, a 63.000 km dal centro del pianeta, si trova l'Anello Leverrier, a 53.000 km, ed il suo più vasto e più debole Anello Galle, a 42.000 km.
Un'estensione più lontana di quest'ultimo anello è stata chiamata Lassell, ed è legata al suo bordo più esterno dall'Anello Arago, a 57.000 km.
l'anello principale, Adams, si rivelò costituito da cinque archi di anello principali, chiamati Courage, Liberté, Egalité 1, Egalité 2 e Fraternité.
Gli archi occupano una stretta banda longitudinale e sembrano piuttosto stabili, con minime variazioni dall'epoca della loro scoperta. L'esistenza di simili strutture non è stata ancora pienamente giustificata; normalmente ci si aspetterebbe una distribuzione uniforme di polveri e piccoli corpi ghiacciati sull'intera orbita attorno al pianeta. La stabilità potrebbe essere collegata alla risonanza orbitale tra l'anello e il suo satellite pastore Galatea.
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LA MIGRAZIONE ORBITALE DI NETTUNO E' STATA A SALTI, E NON GRADUALMENTE UNIFORME

                                                                                                     

La complessa struttura orbitale della Cintura di Kuiper, incluse diverse categorie di oggetti all'interno e all'esterno delle risonanze con Nettuno, è emersa come il risultato della migrazione di Nettuno in un disco planetesimale esterno.

Un problema eccezionalmente complesso è che i modelli di migrazione graduali esistenti, prevedono invariabilmente popolazioni risonanti eccessivamente grandi, mentre le osservazioni mostrano che le orbite non risonanti sono in realtà molto più comuni (ad esempio, la popolazione della fascia di Kuiper è circa 2-4 volte più grande dei Plutini in risonanza 3:2 con Nettuno).
Questo problema può essere risolto se si presume che la migrazione di Nettuno fosse stata a ''salti'' cioè intermittente, come previsto in seguito agli incontri sparpagliati di Nettuno con enormi planetesimi.

La migrazione ''a salti'' agisce per destabilizzare i corpi risonanti con grandi ampiezze di librazione, una frazione dei quali finisce su orbite stabili e non risonanti.
Pertanto, il rapporto non risonante / risonante ottenuto con la migrazione ''a salti'' è maggiore, fino a circa 10 volte superiore per la gamma di parametri qui esaminati, rispetto a un modello con migrazione regolare. Inoltre, la migrazione intermittente, porta a una distribuzione più ristretta delle ampiezze nella risonanza 3:2.

Il miglior adattamento alle osservazioni si ottiene quando si presume che il disco planetesimale esterno inferiore a 30 au contenesse da 1000 a 4000 oggetti come Plutone.
Stimiamo che la massa combinata di oggetti di classe Plutone nel disco originale rappresentasse il 10% -40% della massa stimata del disco stimato in 20 masse terrestri. Questo vincolo può essere usato per comprendere meglio i processi di accrescimento nel sistema solare esterno.


Qui abbiamo ipotizzato che il disco esterno contenesse 1000 enormi planetesimi ciascuno con massa e abbiamo applicato il metodo descritto per imitare una migrazione ''a salti'' che deriverebbe dall'interazione di Nettuno con questi enormi oggetti. Il salto di Nettuno avviene in questa simulazione. Nei vari grafici i valori di Nettuno sono in BLU , mentre quelli di Urano sono in ROSSO , nel grafico B è rappresentata la variazione del rapporto dei periodi orbitali dei due giganti ghiacciati ).

Qui abbiamo sottolineato che tutti i precedenti modelli della formazione della Cintura di Kuiper soffrivano del problema della sovrappopolazione di risonanza, in cui le popolazioni risonanti erano sovrappopolate rispetto alle osservazioni. Abbiamo dimostrato che questo problema può essere risolto se la migrazione di Nettuno era intermittente a seguito di incontri ravvicinati con massicci planetesimi di classe Plutone.

In questo lavoro sono state adottate almeno due importanti approssimazioni:
(1) gli effetti gravitazionali dei planetesimi non sono stati esplicitamente inclusi nelle simulazioni (tranne per l'assunto implicito che i piccoli planetesimi guidano la migrazione di Nettuno e che i grandi planetesimi sono la fonte di un salto nell'evoluzione del semiasse maggiore di Nettuno) .
(2) gli effetti gravitazionali diretti dell'ipotetico quinto pianeta gigante non sono stati presi in considerazione nelle simulazioni tranne per il fatto che (facoltativamente) abbiamo attivato il salto di Nettuno in alcune simulazioni per vedere se il salto di Nettuno può risolvere il problema di sovrappopolazione di risonanza.
In questi casi nessuna di queste ipotesi può influenzare i principali risultati del nostro lavoro.

LINK (EN) : https://iopscience.iop.org/article/10.3847/0004-637X/825/2/94 
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LA STORIA DI NETTUNO

Prima della scoperta:
La prima osservazione certa di Nettuno fu effettuata da Galileo Galilei, il 27 dicembre 1612, che disegnò la posizione del pianeta sulle proprie carte astronomiche scambiandolo per una stella fissa. Per una coincidenza fortuita, in quel periodo il moto apparente di Nettuno era eccezionalmente lento, perché proprio quel giorno aveva iniziato a percorrere il ramo retrogrado del suo moto apparente in cielo, e non poteva essere individuato mediante i primitivi strumenti di Galilei.
Qualche giorno dopo, il 4 gennaio 1613, si verificò addirittura l'occultazione di Nettuno da parte di Giove: se Galileo avesse continuato ancora per qualche giorno le sue osservazioni, avrebbe dunque osservato la prima occultazione dell'era telescopica.
La scoperta del pianeta dovette invece aspettare fino alla metà del XIX secolo.


Osservazione:
Nettuno è invisibile ad occhio nudo dalla Terra; la sua magnitudine apparente, sempre compresa fra la 7,7 e la 8,0, necessita almeno di un binocolo per permettere l'individuazione del pianeta.
Visto attraverso un grande telescopio, Nettuno appare come un piccolo disco bluastro dal diametro apparente di 2,2–2,4 secondi d'arco simile nell'aspetto ad Urano.

Scoperta:
Quando nel 1821 Alexis Bouvard pubblicò il primo studio dei parametri orbitali di Urano divenne chiaro agli astronomi che il moto del pianeta divergeva in maniera apprezzabile dalle previsioni teoriche; il fenomeno poteva essere spiegato solo teorizzando la presenza di un altro corpo di notevoli dimensioni nelle regioni più esterne del sistema solare.


La predizione matematica:
Indipendentemente fra loro il matematico inglese John Couch Adams (nel 1843) ed il francese Urbain Le Verrier (nel 1846) teorizzarono con buona approssimazione posizione e massa di questo presunto nuovo pianeta.

(in foto Urbain Le Verrier).

Sulla scia della scoperta si sviluppò un'accesa rivalità tra francesi ed inglesi sulla priorità della scoperta, da cui emerse infine il consenso internazionale che entrambi, Le Verrier ed Adams, ne meritassero il credito.
La questione è stata riaperta nel 1998, dopo la morte dell'astronomo Olin Eggen, dal ritrovamento di un fascicolo, chiamato "Neptune papers", di cui Eggen era in possesso.
Il fascicolo contiene documenti storici provenienti dall'Osservatorio reale di Greenwich che sembra siano stati rubati dallo stesso Eggen e nascosti per quasi tre decenni.
Dopo aver preso visione di tali documenti alcuni storici suggeriscono che Adams non meriti egual credito di Le Verrier. Dal 1966 Dennis Rawlins ha messo in discussione la credibilità della rivendicazione di co-scoperta di Adams. In un articolo del 1992 sul suo giornale, Dio, ha espresso l'opinione che la rivendicazione britannica sia un "furto".
 Nel 2003 Nicholas Kollerstrom dell'University College London ha detto: «Adams ha eseguito alcuni calcoli ma era piuttosto incerto su dove diceva che fosse Nettuno» .


La scoperta dove predetto:
Mentre le ricerche di Adams vennero trascurate dall'astronomo britannico George Airy, cui egli si era rivolto per sottolineare la necessità di ricercare il nuovo pianeta nella posizione trovata, quelle di Le Verrier vennero applicate da due astronomi dell'Osservatorio di Berlino, Johann Gottfried Galle (in foto a lato) e Heinrich d'Arrest: dopo meno di mezz'ora dall'inizio delle ricerche, aiutati dall'utilizzo di una carta stellare della regione in cui si sarebbe dovuto trovare Nettuno che avevano compilato le notti precedenti e con cui confrontarono le osservazioni, il 23 settembre 1846 i due individuarono il pianeta a meno di un grado dalla posizione prevista da Le Verrier (ed a dodici gradi dalla posizione prevista da Adams).
Nel giugno del 1846 Le Verrier aveva pubblicato una stima della posizione del pianeta simile ma più precisa rispetto a quanto calcolato da Adams. Ciò aveva spinto Airy a sollecitare il direttore dell'osservatorio di Cambridge, James Challis, a cercare il pianeta. Challis aveva quindi setacciato il cielo tra agosto e settembre, ma invano.
Osservato e riconosciuto per tale, la sera del 23 settembre 1846 da Johann Gottfried Galle con il telescopio dell'Osservatorio astronomico di Berlino, e Heinrich Louis d'Arrest, uno studente di astronomia che lo assisteva, Nettuno fu il primo pianeta ad essere stato trovato tramite calcoli matematici più che attraverso regolari osservazioni: cambiamenti insoliti nell'orbita di Urano indussero gli astronomi a credere che vi fosse, all'esterno, un pianeta sconosciuto che ne perturbava l'orbita. Il pianeta fu scoperto entro appena un grado dal punto previsto.
Dopo che Galle ebbe comunicato l'avvenuta scoperta, Challis realizzò di aver osservato il pianeta due volte in agosto, ma di non averlo identificato a causa della metodologia con cui aveva affrontato la ricerca.

Denominazione:
Poco dopo la scoperta ci si riferiva a Nettuno semplicemente come al "pianeta più esterno di Urano". Galle fu il primo a suggerire un nome e propose di nominarlo in onore del dio Giano. In Inghilterra Challis avanzò il nome Oceano.
Rivendicando il diritto a denominare il nuovo pianeta da lui scoperto, Le Verrier propose il nome Nettuno, affermando falsamente, tra l'altro, che il nome fosse stato già ufficialmente approvato dal Bureau des longitudes francese. In ottobre cercò di nominare il pianeta Le Verrier, dal proprio nome, e fu patriotticamente supportato dal direttore dell'Osservatorio di Parigi, François Arago. Sebbene questa proposta incontrò una dura opposizione al di fuori della Francia, gli almanacchi francesi reintrodussero rapidamente il nome Herschel per Urano, dal nome del suo scopritore William Herschel, e Leverrier per il nuovo pianeta.
Il 29 dicembre 1846 Friedrich von Struve si espresse pubblicamente in favore del nome Nettuno presso l'Accademia delle Scienze di San Pietroburgo ed in pochi anni Nettuno divenne il nome universalmente accettato. Nella mitologia romana, Nettuno è il dio del mare, identificato con il greco Poseidone. La richiesta di un nome mitologico sembrava in linea con la nomenclatura degli altri pianeti che prendono il proprio nome da divinità romane, ad eccezione soltanto della Terra e di Urano, che lo trae invece da una divinità della mitologia Greca.

Dopo la scoperta:
Già il 10 ottobre 1846, dopo diciassette giorni dalla scoperta di Nettuno, l'astronomo inglese William Lassell scoprì il suo principale satellite Tritone.

(in foto a lato William Lassell).

A causa della sua grande distanza le conoscenze su Nettuno rimasero frammentarie almeno fino alla metà del Novecento quando Gerard Kuiper scoprì la sua seconda luna, Nereide. Negli anni settanta e ottanta si accumularono indizi sulla probabile presenza di anelli o archi di anelli. Nel 1981 Harold Reitsema scoprì il suo terzo satellite Larissa.

Esplorazione:
L'unica sonda spaziale ad aver visitato Nettuno è stata la Voyager 2, nel 1989; con un sorvolo ravvicinato del pianeta la Voyager ha permesso di individuarne le principali formazioni atmosferiche, alcuni anelli e numerosi satelliti. Il 25 agosto 1989 la sonda ha sorvolato il polo nord di Nettuno ad una quota di 4 950 km per poi dirigersi verso Tritone, il satellite maggiore, raggiungendo una distanza minima di circa 40 000 km.
Dopo le ultime misure scientifiche condotte durante la fase di allontanamento dal gigante gassoso, il 2 ottobre 1989, tutti gli strumenti della sonda sono stati spenti, lasciando in funzione solamente lo spettrometro ultravioletto. Voyager 2 iniziava così una lunga marcia verso lo spazio interstellare, alla velocità di 470 milioni di chilometri all'anno; l'inclinazione della sua traiettoria rispetto all'eclittica è di circa 48°. Si ritiene che, al ritmo attuale, la Voyager 2 passerà a 4,3 anni luce dal sistema di Sirio tra 296.000 anni.
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Satelliti

Nettuno ha 14 satelliti attualmente noti.
Il più grande, Tritone, è geologicamente attivo, con geyser di azoto liquido.
Tritone è l'unico grande satellite di tutto il sistema solare con orbita e direzione retrograda.
Di dimensioni interessanti pure Proteo 410 km e Nereide 340 km.
Le sei lune interne, scoperte analizzando le immagini riprese dal Voyager 2 durante la sua missione, presentano un'albedo tra 0,07 e 0,10. Mostrano tutte una forma ed una superficie piuttosto irregolare, si pensa che siano tutte il risultato della riaggregazione dei frammenti di altri satelliti catturati da Nettuno e distrutti dalle perturbazioni indotte da Tritone. Presentano tutte una rotazione sincrona e, tranne Proteo, hanno l'orbita instabile e in via di decadimento a causa della loro vicinanza a Nettuno; quando avranno superato il rispettivo limite di Roche o si disgregheranno formando un nuovo anello ciascuna, o "impatteranno" violentemente con Nettuno.
Il sistema di satelliti di Nettuno rivela una storia complessa e violenta. Molti miliardi di anni fa, Nettuno ha catturato la grande luna Tritone dalla Fascia di Kuiper, e la gravità del satellite acquisito ha perturbato tutto il sistema originario di lune del pianeta gigante. Successivi bombardamenti di comete hanno reso la storia ancora più complessa.

SCHEDA RIASSUNTIVA SUL SISTEMA DI NETTUNO:
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Leggi anche, ENCICLOPEDIA DEL SISTEMA SOLARE
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