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BORGO A MOZZANO - Piano di Gioviano, SP2 Lodovica.

LETTORI SINGOLI

venerdì 11 gennaio 2019

MERCURIO, IL PIANETA PIU' VICINO AL SOLE. by Andreotti Roberto.

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Aggiornato il 24/02/2021

MERCURIO

                                                    
Mercury in color - Prockter07 centered.jpg

Dati fisici:
DIAMETRO 4.879,4 km
MASSA 55 (T=1000)
Densità 5,427 kg/dm3
Gravità 3,71 m/s2
Velocità di Fuga 4,300 km/s
Temperature -183/+452 °c
Pressione Atmosferica (tracce)
Periodo di rotazione 175,938 giorni

Parametri orbitali:
Periodo di rivoluzione 87,969 giorni
DISTANZA 0,313 / 0,459 UA media 0,387 UA
Eccentricità 0,2056 - Inclinazione 7° .
Radianza max 13.861 / min 6446 / med 9067 W/m2

(dalla sonda Messenger - credit NASA)

Introduzione:
Mercurio (0,387 UA) è il pianeta più vicino al Sole ed è il pianeta più piccolo (0,055 masse terrestri). Mercurio non possiede satelliti naturali e le sue sole formazioni geologiche conosciute, oltre ai crateri da impatto, sono creste sporgenti o rupes, probabilmente prodotte durante una fase di contrazione avvenuta nella sua storia primordiale (vedi sotto).

( In foto nel dettaglio una delle RUPES prodotte dalla contrazione planetaria ).

( Mappa in falsi colori da un collage di immagini della sonda MESSENGER ).

Orbita:
Il moto di rotazione mercuriano è molto lento, esso impiega (58,65) giorni per compiere un giro su se stesso, e completa quindi tre rotazioni ogni due rivoluzioni, in risonanza orbitale 3:2, questo fa sì che la durata del giorno solare (175,938 giorni) sia il doppio della durata dell'anno (87,969 giorni).

Mercurio è l'unico pianeta del sistema solare sul quale la durata del giorno solare è maggiore del periodo di rivoluzione, ma questa risonanza legata all'eccentricità dell'orbita (0,2056) elevata hanno impedito alle forze mareali di fare in modo che Mercurio rivolgesse sempre la solita faccia al Sole, come la Luna con la Terra.
(vedi grafico a lato)

L'orbita di Mercurio è inclinata di 7° sull'eclittica.
L'orbita del pianeta Mercurio risulta essere ellittica solo in prima approssimazione, Difatti è soggetta alla precessione del perielio, e questo effetto, mise in difficoltà gli astronomi e i calcoli della fisica classica del XIX secolo, e ciò fece ipotizzare l'esistenza di un pianeta interno all'orbita di Mercurio che ne perturbasse il moto, detto pianeta ipotetico fu nominato Vulcano.

(vedi schema a lato).

Al perielio, la velocità orbitale molto elevata di Mercurio, diventa la componente predominante del moto solare apparente per un osservatore sulla superficie, il quale dapprima vedrebbe il Sole stazionare nel cielo, poi invertire il suo cammino muovendosi da ovest verso est e infine riprendere la sua traiettoria ordinaria.


Superficie ed Interno:
Il pianeta è privo di atmosfera, fatta eccezione per esili tracce di gas, in maggior parte Sodio, probabilmente frutto dell'interazione del vento solare con la superficie del pianeta.

( Mappa tettonica, ovunque sul pianeta vi sono strutture da contrazione, mentre fratture estensive si trovano solo nel bacino di Caloris Planitia - In rosa i terreni ricoperti da effusioni laviche, in grigio i terreni craterizzati più vecchi ).

La superficie è molto craterizzata e presenta numerose scarpate dovute alla contrazione del pianeta, durante il raffreddamento del pianeta.
Alcuni tra i più grandi crateri di Mercurio superano anche i 200 km e prendono il nome di bacini.
Al centro di molti crateri, spesso riempiti da antiche colate laviche ancora evidenti, s'innalzano piccole formazioni montuose.

Anomalie magnetiche nei crateri di Mercurio:
Un gruppo di ricercatori guidati dall’INAF ha analizzato il campo magnetico crostale di Mercurio per studiare alcune anomalie che si collocano in corrispondenza di due crateri recenti, asimmetriche rispetto al loro centro. 
L’analisi geologica dei due crateri suggerisce che il ferro che ha registrato l’anomalia sia stato portato da un impattatore.

Isolinee del campo magnetico crostale di Mercurio sovrapposte alla carta geologica del cratere Stieglitz. L’anomalia magnetica è decentrata rispetto al cratere ma in corrispondenza del fuso da impatto (poligoni bianchi con contorno magenta) e della catena più profonda generata dall’impatto (poligono rosso). Crediti: V. Galluzzi et al./Geophysical Research Letters ).

Trovare un punto di unione tra la geofisica e la geologia planetaria è possibile e lo ha fatto un gruppo di esperti guidati da Valentina Galluzzi, giovane ricercatrice dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), analizzando il campo magnetico crostale del pianeta Mercurio, concentrandosi su due anomalie individuate in corrispondenza di due crateri di recente formazione. La loro peculiarità è che, pur corrispondendo ai crateri, queste anomalie non sono perfettamente centrate su di essi, bensì sono asimmetriche.

I crateri protagonisti dell’articolo si chiamano Stieglitz (struttura di 90 chilometri di diametro con picco centrale localizzata nella regione Borealis Planitia) e Rustaveli (un “bacino” di 210 chilometri con picco ad anello centrale localizzato nell’emisfero nord del pianeta). 
Chiaramente esistono altri crateri recenti sulla superficie di Mercurio, ma questi sono gli unici due che hanno permesso questo tipo di analisi e confronto. L’analisi di Stieglitz e Rustaveli ha permesso ai ricercatori di individuare una serie di ristagni di materiale fuso nella direzione di downrange.

Cratere Stieglitz (sopra) e cratere Rustaveli (sotto) di cui si riportano il campo magnetico crostale di Mercurio sovrapposto alle carte geologiche (sinistra) e i dipoli magnetici che dovrebbero indicare la posizione del materiale magnetizzato (destra). In entrambi i casi, l’asimmetria delle anomalie corrisponde con la direzione di downrange dei crateri e con la posizione del fuso da impatto (poligoni bianchi con contorno magenta). Crediti: V. Galluzzi et al./Geophysical Research Letters )

«Questo materiale fuso crea l’unica asimmetria morfologica palesemente evidente nei due crateri e le anomalie magnetiche asimmetriche si trovano decentrate esattamente nella stessa direzione. Un’ulteriore analisi di carattere geofisico, ci ha permesso di andare ad individuare la posizione esatta (avvalendoci di un errore sulla superficie di 30 km, dato dal gap di risoluzione tra le mappe delle anomalie e le basemap usate per la cartografia) del materiale magnetizzato. I dipoli magnetici così ottenuti, vanno a collocarsi nei pressi del materiale fuso, sempre nella regione di downrange», aggiunge Galluzzi.

Che alcuni elementi magnetici potessero essere portati su una superficie planetaria dagli impattatori era già stato osservato sulla Luna, ma i risultati dell’articolo offrono, per la prima volta, prove osservative che gli elementi magnetici sono stati portati dagli impattatori su Mercurio.

«Su Mercurio, come osservato anche sulla Luna, gli impatti sono una delle cause della presenza di queste anomalie localizzate. La fusione dell’impattatore composto di elementi magnetici e il suo conseguente processo di raffreddamento», conclude Galluzzi, «permettono di registrare il campo magnetico e di registrare l’anomalia permanentemente nella roccia. Questo ci permette anche di affermare che la dinamo magnetica di Mercurio era attiva anche all’epoca di questi impatti (meno di 1,7 miliardi di anni fa)».

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I GRANDI CRATERI

Caloris:
Il bacino più grande e più noto è la Caloris Planitia, dal diametro di circa 1.500 km: si tratta di una grande pianura circolare circondata da anelli di monti.
Questo bacino (in foto a lato), deve il suo nome al fatto che si trova sempre esposto alla luce del sole durante il passaggio di Mercurio al perielio e pertanto è uno dei punti più caldi del pianeta.
L'impatto che ha prodotto il bacino Caloris dovrebbe essere avvenuto dopo che la maggior parte del bombardamento era terminata, perché il numero dei crateri da impatto presenti sul fondo del bacino è minore rispetto a regioni di dimensioni comparabili al di fuori del bacino stesso. Si ritiene che formazioni geologiche analoghe presenti sulla Luna, come il Mare Imbrium ed il Mare Orientale, si siano formate all'incirca nella stessa epoca, forse indicando che c'è stato un picco di grandi impatti verso la fine della fase di intenso bombardamento. In base alle immagini della sonda MESSENGER, è stato determinato che l'età del bacino Caloris è compresa tra 3,8 e 3,9 miliardi di anni.


( In grafica l'analisi geologica del bacino Caloris - in Russo ).

L'impatto che ha creato il bacino di Caloris planitia, ha creato onde sismiche che hanno attraversato sia il nucleo del pianeta , sia correndo sulla superficie, andandosi a concentrare agli antipodi creando un terreno corrugato.

( Schema degli effetti causati dall'impatto ).

Rembrandt:

Il bacino di impatto di Rembrandt è stato scoperto da MESSENGER, durante il suo secondo flyby di mercurio nell'ottobre 2008. 
Le immagini mostrano che il bacino di Rembrandt è notevolmente ben conservato.
La maggior parte dei grandi bacini di impatto su Mercurio, la luna e altri pianeti interni sono sommersi da flussi vulcanici che coprono l'intero pavimento. 
Il numero per area e la distribuzione delle dimensioni dei crateri di impatto sovrapposti sul bordo di Rembrandt indicano che è uno dei bacini di impatto più giovani su Mercurio.

Con un diametro di 715 km è il secondo bacino d'impatto più grande del pianeta, dopo Caloris, ed è uno dei crateri più grandi del Sistema Solare.
Il cratere ha 3,9 miliardi di anni ed è stato creato durante il periodo del Grande Bombardamento Tardivo, causato dagli sconvolgimenti creati dalla migrazione dei pianeti giganti.
Il cratere prende il nome dal pittore olandese Rembrandt Harmenszoon van Rijn.

Beethoven:
Beethoven è un cratere che si trova a 20° di latitudine Sud, e 124° di longitudine Ovest, su Mercurio. Ha un diametro di 630-625 km e prende il nome da Ludwig van Beethoven
È l'undicesimo cratere da impatto più grande del Sistema Solare e il terzo più grande su Mercurio (dopo Caloris e Rembrandt citati qua sopra).

( La zona del grande cratere Beethoven ).

A differenza di molti bacini di dimensioni simili sulla Luna , come il bacino Orientale , Beethoven non è multi-anello . Le coperture espulse intorno a parti del Beethoven hanno un aspetto tenue e i loro margini in alcuni punti sono poco definiti. 
La parete del cratere di Beethoven è sepolta dalla sua copertura di eiezioni e da materiali di pianura ed è appena visibile. 
Il pavimento del bacino è ricoperto di materiale di pianura liscia intermedia, che ha la stessa riflettanza del terreno intermedio esterno. Tuttavia, non ci sono creste di rughe o graben all'interno del bacino come quelli di Caloris.

( In grafica l'analisi delle altimerie sul fondo del cratere, le linee verde e blu sono le posizioni dei profili mostrati nei due grafici a destra ).

Spudis e Prosser nei loro studi hanno suggerito che Beethoven potrebbe essere piuttosto vecchio, il che significa che è più antico del bacino del Caloris . La profondità di Beethoven è stimata a 2,5 ± 0,7 km dai modelli di elevazione digitale derivati basati sulle immagini del pianeta di Mariner 10 . 
Questo è significativamente inferiore alla profondità dei bacini lunari di dimensioni simili, indicando che Beethoven probabilmente si è rilassato dalla sua forma post impatto. C'è anche un ampio aumento topografico nei margini di nord-ovest e sud-est di Beethoven avvenuto successivamente agli impatti secondari.

( Mappa altimetrica del cratere Beethoven, le frecce indicano gli aumenti topografici ).

Raditladi:
Il bacino di Raditladi è un grande cratere di impatto ad anello di picco su Mercurio con un diametro di 263 km. All'interno del suo anello di picco è presente un sistema di canali concentrici estensivi (graben), che sono rare caratteristiche di superficie su Mercurio.
Il pavimento di Raditladi è parzialmente coperto da pianure relativamente leggere e lisce, che si pensa siano il prodotto del vulcanismo effusivo .
Le depressioni potrebbero anche essere derivate da processi vulcanici sotto il pavimento di Raditladi. 
Il bacino è relativamente giovane, probabilmente più giovane di un miliardo di anni, con solo pochi piccoli crateri da impatto sul pavimento e con pareti del bacino ben conservate e struttura ad anello di picco.


Questo cratere (o bacino) , l'8 aprile 2008) è stato denominato Raditladi, in onore di Leetile Disang Raditladi (1910-1971) drammaturgo e poeta del Botswana.
Raditladi è una delle caratteristiche più giovani di Mercurio.

La parte centrale di Raditladi è occupata da un grande anello di picco con un diametro di 125 km. L'anello è leggermente sfalsato dal centro geometrico del bacino nella direzione nord-ovest.
Il pavimento di Raditladi è coperto da due tipi di terreno:
- le pianure levigate
- le oscure pianure collinose . 
Le prime incassano parzialmente le pianure collinose e sono probabilmente di origine vulcanica. Questi ultimi sono presenti principalmente su una parte del pavimento tra l'anello di picco e il bordo del cratere. Le pianure collinose sono leggermente più blu delle pianure lisce.
Le aree esterne a Raditladi sono coperte dagli ejecta degli impatti relativamente blu scuro.
I massicci montagnosi dell'anello di picco in alcuni punti espongono un materiale blu brillante identico a quello sui pavimenti di alcuni crateri luminosi d'impatto mercuriani (Bright Crater Floor Deposits — BCFD), ed in Raditladi sono riconosciuti più in generale come un sottoinsieme di una forma di terreno ora chiamata cavità (vedi di seguito - ed in foto qui a lato) .

Visibili sul pavimento di Raditladi all'interno dell'anello di picco ci sono stretti canali concentrici, formati dall'estensione della superficie. Le fosse sono disposte secondo uno schema circolare di circa 70 km di diametro. Si pensa che siano graben .
Il centro geometrico del sistema di graben coincide con il centro di Raditladi ed è sfalsato rispetto al centro del complesso dell'anello di picco.
Le fosse di estensione su Mercurio sono piuttosto rare, essendo stati visti solo in poche altre posizioni:
- Bacino di Rachmaninoff , che è simile in molti altri modi a Raditladi.
- In parte del Pantheon Fossae nel bacino di Caloris.
- Sul pavimento di Rembrandt , un grande bacino.
Comprendere come si sono formati queste fosse estensive, nel giovane bacino di Raditladi potrebbe fornire un importante indicatore dei processi che hanno agito relativamente di recente nella storia geologica di Mercurio.
Esistono due principali teorie sulla formazione del graben:
1) - Il primo è che rappresentano una manifestazione superficiale di dighe ad anello o fogli di cono . Entrambi i tipi di strutture si formano quando il magma proveniente da un profondo serbatoio si intromette nelle rocce sovrastanti lungo fratture coniche o cilindriche.
2) - La seconda ipotesi sostiene che il graben si sia formato a seguito del sollevamento del pavimento causato dal peso delle pianure lisce all'esterno del cratere. Tali pianure sono effettivamente presenti a nord e ad est di Raditladi, sebbene il loro spessore ed età non siano noti.

( Mappa topografica del cratere ).

L'età relativa di qualsiasi caratteristica della superficie può essere determinata dalla densità dei crateri da impatto su di essa. La densità dei crateri sul pavimento di Raditladi è circa il 10% di quella nella pianura a ovest di Caloris. La densità del cratere è la stessa sulle pianure coperte dagli ejecta all'esterno del bacino. Le pianure levigate e le pianure collinose hanno anche la stessa densità del cratere e quindi la stessa età apparente. La bassa densità di impatti all'interno del cratere indica che Raditladi è molto più giovane di Caloris e potrebbe essersi formato nell'ultimo miliardo di anni, mentre l'età di Caloris è di 3,5–3,9 miliardi di anni.

Rachmaninoff:
Rachmaninoff è un cratere da impatto su Mercurio . Questo bacino, prima ripreso nella sua interezza durante il terzo flyby della sonda MESSENGER, è stato rapidamente identificato come una caratteristica di grande interesse scientifico, a causa del suo aspetto fresco, le sue pianure interne tipicamente colorate, e le fosse estensionali sul suo fondo piatto.


La morfologia di Rachmaninoff è simile a quella del cratere Raditladi , che è uno dei bacini di impatto più giovani su Mercurio.
L'età di Raditladi è stimata in un miliardo di anni.
Rachmaninoff sembra essere leggermente più giovane.
Grazie a un innovativo modello di datazione planetaria sviluppato proprio presso l’INAF-OA di Padova, è stato possibile stabilire che il bacino è più giovane di un miliardo di anni.
Il metodo combina il conteggio dei crateri sulla superficie con il flusso di meteoriti provenienti dalla Fascia principale degli asteroidi, per effettuare una stima dell’età del pianeta sulla base degli impatti che si riscontrano sulla sua superficie.
Secondo i calcoli dell'INAF, il bacino Rachmaninoff, potrebbe essersi formato negli ultimi 3-400 milioni di anni.


La parte centrale di Rachmaninoff è occupata da un anello di picco di 130 km di diametro e un po' allungato nella direzione nord-sud. L'area al suo interno è coperta da brillanti pianure lisce rossastre, che sono di colore diverso dalle pianure esterne all'anello di picco.
È probabile che queste pianure siano di origine vulcanica perché mostrano segni di flusso.
Hanno anche superato e coperto la parte meridionale dell'anello di picco stesso.
Anche Mercurio, come recentemente si è scoperto per Venere, è stato quindi scombussolato da eruzioni vulcaniche e travolto da tempeste magnetiche.

In particolare abbiamo osservato che questo cratere ha avuto fenomeni di origine vulcanica, è caratterizzato da una superficie eccezionalmente liscia, dove un tempo scorreva lava.
Questa depressione, di 230 chilometri di diametro, presenta un anello circondato da depositi minerali brillanti che potrebbero costituire la più interessante evidenza vulcanica di Mercurio identificata finora.

L'altitudine più bassa registrata su Mercurio, 5380 metri al di sotto della media globale, si trova nel bacino di Rachmaninoff.


Le pianure lisce all'interno dell'anello di picco erano deformate da una serie di graben concentrici molto simili a quelli all'interno di Raditladi. Le fosse si trovano a metà della distanza dall'anello di picco dal centro del cratere. Rachmaninoff è il quarto cratere da impatto su Mercurio (dopo Caloris , Rembrandt e Raditladi), dove sono stati osservati tratti tettonici estensivi.
Il meccanismo di formazione del graben rimane sconosciuto ma pare certa l'origine vulcanica..

Il cratere prende il nome da Sergei Rachmaninoff , compositore, pianista e direttore russo (1873-1943).
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Cavità:
Questa a lato, è una delle immagini a più alta qualità e più elevata risoluzione di cavità ottenute dalla MESSENGER.

L'immagine è stata fortuita, perché è stata semplicemente acquisita prendendo immagini a bassa quota, e ad alta risoluzione, di una zona qualsiasi che si trovava ad essere nel campo di vista della fotocamera.
(vedi a lato).

L'immagine fortunata Mostra il pavimento incredibilmente liscio di queste piccole cavità, che si trovano all'interno del bacino Aleichem Sholem.
Nessun cratere da impatto è visibile sul pavimento delle cavità, anche se molti piccoli crateri si trovano nei dintorni.
La mancanza di crateri di impatto suggerisce che le cavità sono molto giovani rispetto alla maggior parte della superficie di Mercurio.

(Questa immagine mostra la parete di una cavità vulcanica situata tra il bacino di Rachmaninoff e il cratere copland. La ripida parete dello sfiato rivela strati di alta riflettanza e affioramenti in cui si formano cavità più piccole. La parete ha anche delle belle scanalature in forma di gole scolpite da frane).

La loro insolita conformazione e la presenza concentrata soprattutto  all’interno dei crateri del pianeta ha suscitato l’interesse degli scienziati.
Alice Lucchetti, giovane ricercatrice dell’INAF di Padova, e il suo gruppo (tra cui fanno parte anche colleghi dell’INAF di Roma) hanno esaminato nel dettaglio queste particolari strutture localizzate in tre diversi crateri presenti sulla superficie del pianeta, riuscendo a ricavare informazioni sulla composizione degli elementi chimici presenti in essi e, quindi, ottenere indizi sulla loro formazione.

Le cavità sono strane e irregolari depressioni molto brillanti e poco profonde, solitamente presenti all’interno dei crateri di impatto, sui loro bordi e picchi centrali, la cui origine potrebbe essere legata a un meccanismo che prevede la perdita di elementi chimici volatili che si trovano sotto la superficie, un processo detto, appunto devolatilizzazione.
I tre crateri studiati dai ricercatori sono Velasquez, Dominici e Canova. Quest’ultimo nome è stato scelto proprio da Alice Lucchetti con il suo team ed è stato ufficialmente approvato dall’Unione Astronomica Internazionale in onore del celebre scultore e pittore italiano.

L’analisi delle caratteristiche e dell’intensità della luce solare riflessa dalla superficie di queste cavità è ottenuta con una particolare tecnica, detta clustering, ed ha permesso di separare l’area di ciascun cratere in porzioni più piccole di terreno caratterizzate da una specifica “impronta” nello spettro della radiazione riflessa. Confrontando i dati provenienti da questi due canali, i ricercatori hanno trovato un’ottima correlazione tra le aree individuate dalle mappe geologiche e quelle individuate dall’analisi spettrale.
Lucchetti aggiunge: “Il punto di forza del lavoro è aver scoperto che questi tre gruppi di avvallamenti sono identificati da uno spettro simile, che confrontato con gli spettri di laboratorio, ci ha permesso di scoprire novità rispetto ai lavori precedenti.
Gli spettri delle cavità sono infatti indicativi della presenza di solfuri (quali solfuri di calcio, magnesio e manganese, ipotesi già avanzata in precedenza), ma anche di pirosseni che presentano elementi di transizione, come cromo, titanio e nichel”.
Per il gruppo di ricerca il risultato ottenuto è importante perché suggerisce che le cavità non sono solo l’espressione del materiale rimasto dopo la perdita elementi chimici allo stato gassoso nella giovane crosta di Mercurio, il processo che prende il nome di devolatilizzazione, ma riflettono anche il materiale in cui si sono formati, essendo quindi rappresentativi della roccia componente la crosta primordiale del pianeta in cui si sono originati.

Nucleo:
Il suo nucleo relativamente grande e il suo mantello sottile finora non erano ancora stati spiegati adeguatamente, le ipotesi riportano la possibilità che gli strati esterni siano stati strappati via da un impatto gigantesco, oppure che all'interno della nebulosa solare non abbia raccolto sufficienti materiali leggeri vista la vicinanza con il sole.

Ma in un recente studio, i ricercatori hanno utilizzato osservazioni compiute in quattro anni dalla sonda Messenger della Nasa, in orbita attorno a Mercurio dal marzo del 2011 fino all’aprile del 2015. Messenger ha sondato il cuore profondo del pianeta, ed è proprio grazie a queste osservazioni che i ricercatoti hanno potuto determinare le anomalie gravitazionali del pianeta (aree di aumento e decremento locale della massa) e la posizione del suo polo rotazionale. Misure necessarie per comprendere l’orientamento del pianeta che, insieme ai dati di gravità, hanno permesso di rispondere alla domanda che da tempo i ricercatori si ponevano, e cioè che potrebbe nascondersi un cuore duro interno sotto quello di metallo fuso liquido nel nucleo di Mercurio.
Il nucleo metallico, che oggi sappiamo essere sia liquido che solido, di Mercurio occupa quasi l’85 per cento del volume del pianeta: questa percentuale record è enorme rispetto a quella relativa a tutti gli altri pianeti rocciosi del Sistema solare ed insieme alla possibile presenza o meno di un nucleo solido, ha rappresentato a lungo uno fra i misteri più intriganti di Mercurio oggi finalmente svelati.


( In grafica il confronto con la Terra ).

Struttura interna:

I geologi stimano che il nucleo di Mercurio occupi circa il 42% del suo volume, mentre per la Terra questa percentuale è del 17%. Una ricerca pubblicata nel 2007, ed un'altra del 2019, unita alla presenza del debole campo magnetico, suggerisce che Mercurio possieda un nucleo metallico solido ed un nucleo esterno fuso elettricamente conduttore, circondato da un mantello dello spessore di 500–700 km composto da silicati. Sulla base dei dati della Mariner 10 e di osservazioni compiute dalla Terra, la crosta di Mercurio è ritenuta essere spessa 100–300 km.

Magnetosfera:
A dispetto delle sue ridotte dimensioni e del lento moto di rotazione, Mercurio possiede un campo magnetico stabile, significativo e apparentemente globale. Le misurazioni delle sonde Mariner 10 e MESSENGER indicano un'intensità pari a circa l'1% del campo terrestre e lasciano presupporre che l'intensità all'equatore del pianeta sia compresa tra 250 e 290 nT. Come quello della Terra, il campo magnetico di Mercurio è dipolare, con inclinazione dell'asse magnetico rispetto a quello di rotazione inferiore ai 5°.
È probabile che il campo magnetico sia generato con un effetto dinamo, in modo simile a quanto accade per la Terra, sebbene siano state proposte varie differenze. Il campo magnetico sarebbe generato dalla circolazione dei fluidi del mantello ricco di ferro. In particolare, i forti effetti mareali, causati dalla relativamente elevata eccentricità dell'orbita del pianeta, fornirebbero l'energia necessaria a mantenere il nucleo allo stato liquido.


Anomalie gravitazionali:
L'analisi dei dati ottenuti dai vari strumenti, ha permesso di derivare le mappe del campo gravitazionale di Mercurio.

In questa immagine sovrapposta su di un mosaico ottenuto dalla MESSENGER (Mercury Dual Imaging System), con un modello di forma determinato dallo stereo-fotoclinometro, le varie anomalie di gravità di Mercurio sono raffigurate in colori.

I toni rossi indicano le concentrazioni di massa, e sono centrate sul bacino di Caloris Planitia (al centro) e nella regione di Sobkou (a destra).

Tali anomalie gravitazionali su larga scala sono la firma delle strutture e dell'evoluzione che si trovano sotto la superficie, e si ipotizza che siano state create dai grandi impatti che hanno creato queste due regioni.

Il Polo Nord è vicino alla parte superiore della zona illuminata dal sole in questa immagine.


Osservazione:
Benché Mercurio sia assai splendente è molto difficile osservarlo perché ha il moto molto rapido, in più visto che è vicino al Sole è sempre immerso nei chiarori dell'alba o del tramonto, spesso in passato è stato scambiato per due corpi celesti differenti, è poi stato associato ad Hermes dai Greci ed al Mercurio dei Romani, il messaggero degli dei, per il suo moto rapido.

Trattandosi di un pianeta interno rispetto alla Terra, Mercurio appare sempre molto vicino al Sole (la sua elongazione massima è di 27,8°), al punto che i telescopi terrestri possono osservarlo raramente. La sua magnitudine apparente oscilla tra -2,4 e +7,2 mag , a seconda della sua posizione rispetto alla Terra e al Sole.

Durante il giorno la luminosità solare impedisce ogni osservazione, e l'osservazione diretta è possibile solamente subito dopo il tramonto, sull'orizzonte a ovest, o poco prima dell'alba verso est, oppure eccezionalmente in occasione delle eclissi totali.
Inoltre l'estrema brevità del suo moto di rivoluzione ne permette l'osservazione solamente per pochi giorni consecutivi, dopo di che il pianeta è inosservabile dalla Terra. Per evitare danni agli strumenti il telescopio spaziale Hubble non viene mai utilizzato per riprendere immagini del pianeta.

Mercurio è visibile solitamente per sei periodi l'anno, con 3 apparizioni la mattina prima dell'alba e 3 la sera immediatamente dopo il tramonto.
I periodi migliori per l'osservazione sono dopo il tramonto attorno all'equinozio di primavera per l'emisfero boreale e prima dell'alba attorno all'equinozio di autunno per l'emisfero australe, a causa dell'inclinazione dell'eclittica sull'orizzonte.

Atmosfera:
Per via della sua bassa attrazione gravitazionale Mercurio è sprovvisto di una vera e propria atmosfera come quella terrestre, fatta eccezione per esili tracce di gas probabilmente frutto dell'interazione del vento solare con la superficie del pianeta.
La composizione atmosferica è stata determinata come segue:
ElementoPercentuale
Ossigeno42%
Sodio29%
Idrogeno22%
Elio6%
Potassio0,5%
La pressione atmosferica al suolo, misurata dalla sonda Mariner 10, è nell'ordine di un millesimo di pascal.

La coda di Mercurio:
Non è vistosa e ne visibile ad occhio nudo.
Messenger ha anche osservato per la prima volta particelle ionizzate nell'esosfera di Mercurio, una sottilissima parte della sua atmosfera.

Il vento solare espelle atomi neutri dalla prossimità del pianeta rendendo misurabile una coda fino a distanze di oltre un milione di chilometri, composta principalmente da atomi di sodio
Questi atomi (idrogeno, elio, sodio, potassio, calcio e altri) vengono allontanati rapidamente da Mercurio dalla pressione della radiazione solare e ionizzati dalla stessa formando una lunga scia simil-cometaria di atomi soffiata nella direzione opposta al sole.
La loro quantità varia durante il giorno e la notte, con gli effetti del campo magnetico e del vento solare.


Nella foto sotto, di Andrea Alessandrini, la coda lunga oltre 2,5 milioni di chilometri, è dovuta alla presenza di atomi di sodio nell’atmosfera del pianeta, che vengono liberati ed eccitati dalla radiazione solare.

( La NASA, pubblica lo scatto di Andrea Alessandrini come Astronomy Picture of the Day di mercoledì 8 luglio 2020 ).

Ghiaccio ai poli:
L'osservazione radar dal radiotelescopio di Arecibo ha rilevato delle formazioni particolari all'altezza dei  2 poli, molto riflettenti, molto simili a quelle che si ottengono osservando oggetti ghiacciati all'esterno del sistema solare. I valori riflessi osservati sono compatibili con la presenza di ghiaccio coperta da un sottile strato di regolite, non sappiamo determinare lo spessore di questi depositi di ghiaccio che comunque si estendono per circa 30.000 km2, frutto forse dell'impatto di comete.
( Le zone gialle sono depositi ghiacciati che restano sempre in ombra ).
Data la ridotta inclinazione della rotazione di Mercurio, i crateri ai poli conservano delle zone perennemente oscurate dalla radiazione solare e hanno permesso al ghiaccio di conservarsi per miliardi di anni.
(vedi scheda sotto)

SCHEDA DELLE ZONE POLARI:

MAPPA ALTIMETRICA DI MERCURIO:
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MERCURIO STORIA
DELLE OSSERVAZIONI


(Estratto da Wikipedia e migliorato).
Il pianeta Mercurio è visibile solitamente durante sei periodi dell'anno, con 3 apparizioni la mattina prima dell'alba e 3 la sera immediatamente dopo il tramonto.
Ma comunque i periodi migliori per l'osservazione sono dopo il tramonto attorno all'equinozio di primavera per l'emisfero boreale e prima dell'alba attorno all'equinozio di autunno per l'emisfero australe, a causa dell'inclinazione dell'eclittica sull'orizzonte, che porta ad una maggiore elongazione dal Sole.

Popoli mesopotamici:
Le osservazioni più antiche del pianeta di cui si ha traccia storica sono riportate nelle tavole MUL.APIN, eseguite probabilmente da astronomi assiri intorno al XIV° secolo a.C.
Il nome utilizzato per designare l'odierno Mercurio in questi testi, redatti in scrittura cuneiforme, è trascritto come Udu. Idim. Gu\u. Ud ("il pianeta saltellante").
Le registrazioni babilonesi risalgono al I° millennio a.C. , e chiamarono il pianeta Nabu (o Nebo), dio della scrittura e quindi della saggezza nella loro mitologia.

Egizi e Greci:
Gli antichi Egizi e i Greci assegnarono a Mercurio, come anche a Venere, due nomi differenti: uno come stella del mattino, l'altro come stella della sera. Per gli Egizi alle due apparizioni corrispondevano rispettivamente Seth, un dio oscuro che veniva scacciato dalla luce accecante del Sole nascente, e Horus, un dio benigno associato alla figura del faraone e dello Stato.

Invece nella tradizione greca sono rintracciabili due coppie di nomi per il pianeta Mercurio.
La più antica, testimoniata nell'epoca di Esiodo (fine dell'VIII°, inizio del VII° secolo a.C.), consistette in Στίλβων (Stilbon, "il brillante"), per quella che era considerata la stella del mattino, e Ἑρμάων (Hermaon), come stella della sera.
Successivamente, in periodi più recenti, queste denominazioni furono sostituite rispettivamente dagli dei Apollo ed Hermes. Alcune fonti attribuiscono all'intuizione geniale di Pitagora (verso il 500 a.C.) la comprensione del fatto che si trattasse di un unico pianeta errante, altre invece propendono per un periodo più tardo, intorno al 350 a.C.
Tolomeo nel II° secolo a.C. scrisse della possibilità che Mercurio potesse  transitare davanti al Sole nelle sue: '' Ipotesi Planetarie ''. Suggerì che nessun transito era stato fino ad allora osservato o a causa delle limitate dimensioni del pianeta, troppo piccolo perché il fenomeno risultasse osservabile o perché l'evento era poco frequente.

I Romani:
I Romani , invece , chiamarono il pianeta Mercurio in onore del messaggero alato degli dei, che era anche il dio romano del commercio e dei viaggi, corrispondente al greco Hermes. Probabilmente il pianeta ricevette questo nome a causa del suo rapido moto attraverso il cielo, più veloce di quello di tutti gli altri pianeti conosciuti all'epoca.

Estremo oriente:
Nell'Antica Cina Mercurio era conosciuto come Chen Xing (辰星), la ''Stella delle Ore''. Era associato con il Nord ed era l'elemento dell'acqua nel Wu Xing. Nelle moderne culture cinese, coreana, giapponese e vietnamita si è conservato il legame con il Wu Xing e il pianeta è chiamato "la stella dell'acqua" (水星).

India:
Nella mitologia indiana Mercurio era identificato con il dio Budha, che presiedeva il mercoledì.
Nel Surya Siddhanta, un trattato di astronomia indiano del V° secolo, è fornita una stima del diametro di Mercurio con un errore rispetto al valore oggi noto inferiore dell'1%. Tuttavia tale calcolo era basato sull'inaccurata supposizione che il diametro angolare del pianeta fosse di 3,0 arcominuti, quindi tirando a cogliere, beccarono nel giusto.
Nel XV° secolo l'astronomo indiano Nilakantha Somayaji della Scuola del Kerala sviluppò un modello planetario del Sistema solare parzialmente eliocentrico in cui Mercurio orbitava attorno al Sole che a sua volta orbitava attorno alla Terra. Si trattava di un modello simile al Sistema Ticonico suggerito, indipendentemente un secolo dopo, dall'astronomo danese Tycho Brahe nel XVI° secolo.

Nordici e Norreni:
Nella mitologia germanica e norrena il pianeta e il giorno erano dedicati al dio Odino (Woden in germanico), il maggiore degli Dei di queste mitologie.

Mesoamerica:
I Maya potrebbero aver rappresentato il pianeta come un gufo o forse come quattro gufi, due che ne esprimevano le caratteristiche mattutine e altri due per quelle serali, che recavano messaggi all'oltretomba.

In epoca scientifica:
Galileo Galilei compì le prime osservazioni telescopiche di Mercurio all'inizio del XVII° secolo. Sebbene fosse riuscito nell'osservare le fasi di Venere, il suo telescopio non era sufficientemente potente da permettergli di cogliere anche quelle di Mercurio, che furono scoperte nel 1639 da Giovanni Battista Zupi fornendo la prova definitiva che Mercurio orbita intorno al Sole.
Intanto nel 1631 Pierre Gassendi era stato il primo a osservare un transito di Mercurio innanzi al Sole, secondo le previsioni fornite da Giovanni Keplero.

I Transiti:
I transiti di Mercurio osservati dalla Terra sono molto più frequenti dei transiti di Venere grazie alla ridotta distanza dal Sole e alla maggiore velocità orbitale: ne avvengono circa 13 ogni secolo. Sin dai tempi antichi il transito fornisce un'ottima occasione per condurre studi scientifici. Nel 1600 i transiti di Mercurio vennero usati per stimare la dimensione del pianeta e per calcolare la distanza tra Terra e Sole, allora sconosciuta. In epoca moderna i transiti sono usati per analizzare dalla Terra la composizione della tenue atmosfera e come valido elemento di confronto per i metodi di individuazione di pianeti extrasolari.

Le Occultazioni:
Un altro evento ancora più raro nell'astronomia è il passaggio di un pianeta davanti a un altro (occultazione) visto dalla Terra. 
Mercurio e Venere si occultano ogni pochi secoli e l'evento del 28 maggio 1737 rilevato da John Bevis all'Osservatorio di Greenwich è l'unico storicamente osservato. La prossima occultazione di Mercurio da parte di Venere avverrà il 3 dicembre 2133.

Le difficoltà insite nell'osservazione diretta di Mercurio lo hanno reso il pianeta meno studiato tra gli otto del Sistema solare. Nel 1800 Johann Schröter compì alcune osservazioni delle sue caratteristiche superficiali e affermò di aver osservato montagne alte 20 km. Friedrich Wilhelm Bessel utilizzò i disegni di Schröter e stimò erroneamente un periodo di rotazione di 24 ore e un'inclinazione dell'asse di rotazione di 70°.

(a lato la mappa di Schiaparelli).

Schiaparelli:
Negli anni ottanta dell'Ottocento Giovanni Schiaparelli disegnò mappe più accurate della superficie ed erroneamente suggerì che il periodo di rotazione del pianeta fosse di 88 giorni, uguale a quello di rivoluzione, e quindi che il pianeta fosse in rotazione sincrona con il Sole così come la Luna lo è con la Terra.

Antoniadi:
L'impegno nel mappare la superficie di Mercurio fu proseguito da Eugène Michel Antoniadi che pubblicò le sue mappe e osservazioni in un libro nel 1934.
Molte caratteristiche superficiali del pianeta, e in particolare quelle di albedo, prendono il loro nome dalle mappe di Antoniadi.

(a lato la mappa di Antoniadi).

Bepi Colombo:
L'astronomo italiano Giuseppe Colombo osservò che il periodo di rotazione era circa due terzi di quello orbitale e propose una risonanza 3:2 invece che l'1:1 prevista dalla teoria della rotazione sincrona.

Nel giugno del 1962 ricercatori sovietici dell'Istituto di radio-ingegneria ed elettronica dell'Accademia delle Scienze dell'URSS diretto da Vladimir Kotel'nikov furono i primi a eseguire osservazioni radar del pianeta.
Tre anni dopo ulteriori osservazioni radar condotte con il radiotelescopio di Arecibo dagli statunitensi Gordon Pettengill e R. Dyce indicarono in modo conclusivo che il pianeta completa una rotazione in 59 giorni circa.
La scoperta risultò sorprendente perché l'ipotesi che la rotazione di Mercurio fosse sincrona era ormai ampiamente accettata e vari astronomi, riluttanti ad abbandonarla, proposero mirabolanti ed astruse spiegazioni alternative per i dati osservativi.
In particolare la temperatura notturna della superficie del pianeta risultò molto più alta rispetto al valore atteso nel caso di rotazione sincrona e, tra le varie ipotesi, fu proposta l'esistenza di venti estremamente potenti che avrebbero ridistribuito il calore dalla faccia illuminata a quella buia, e quindi l'esistenza di una consistente atmosfera, ipotesi del tutto errata.

Successivamente, i dati raccolti dalla missione spaziale Mariner 10 confermarono la previsione di Colombo, spazzando ogni dubbio o reticenza, e confermarono pure l'esattezza delle mappe di Schiaparelli e Antoniadi.
Gli astronomi, nelle loro carte, rilevarono le stesse caratteristiche di albedo ogni seconda orbita e le registrarono, ma non dettero importanza necessaria a quelle dell'altra faccia di Mercurio a causa delle condizioni osservative scarse nel momento in cui le guardavano.

Le osservazioni dalla Terra non permisero di acquisire maggiori informazioni su Mercurio e le sue principali caratteristiche rimasero ignote finché non fu visitato dal Mariner 10, la prima sonda spaziale a visitare il pianeta. Tuttavia recenti progressi tecnologici hanno migliorato anche le osservazioni dalla Terra e, grazie alle osservazioni condotte dall'Osservatorio di Monte Wilson con la tecnica del lucky imaging nel 2000, è stato possibile risolvere per la prima volta dettagli superficiali sulla porzione di Mercurio che non era stata fotografata dal Mariner 10. Osservazioni successive hanno permesso di ipotizzare l'esistenza di un cratere d'impatto più grande del Bacino Caloris nell'emisfero non fotografato dal Mariner 10, cratere a cui è stato informalmente dato il nome di Bacino Skinakas. La maggior parte del pianeta è stata mappata dal radiotelescopio di Arecibo, con una risoluzione di 5 km, compresi depositi polari in crateri in ombra che potrebbero essere composti da ghiaccio d'acqua.

Mariner 10:
Concepito per l'osservazione di Venere e Mercurio, il Mariner 10 venne lanciato il 3 novembre 1973 e raggiunse il pianeta nel 1974, usando per la prima volta nella storia la manovra di fionda gravitazionale. La sonda effettuò il primo sorvolo il 29 marzo a una distanza minima di 700 km, fornendo le prime immagini inedite del pianeta e risultati scientifici inaspettati: la sonda registrò un campo magnetico rilevante che si pensava fosse quasi del tutto assente. Il secondo sorvolo, il 21 settembre, fu ben più lontano del primo. Si decise di risparmiare carburante per permettere un terzo sorvolo che avrebbe permesso di capire la natura del campo magnetico: se intrinseco come quello della Terra o indotto dal vento solare come quello di Venere. Il sorvolo avvenne a circa 50 000 km dalla superficie e fornì ulteriori immagini della superficie illuminata e dettagli del polo sud. Le manovre preparatorie per il terzo sorvolo non furono prive di incidenti, ma riuscirono comunque a portare la sonda statunitense alla minima distanza da Mercurio il 16 marzo 1975, quando passò a soli 327 km dalla superficie, confermando la natura intrinseca del campo magnetico e l'esistenza di una magnetosfera. La sonda abbandonò il pianeta dopo aver fotografato il 41% della superficie del pianeta, fu spenta e rimase in orbita eliocentrica.

Messenger:
La NASA, dopo oltre trentanni, lanciò nel 2004 la sonda MESSENGER il cui primo passaggio ravvicinato di Mercurio, avvenuto il 14 gennaio 2008, fu preceduto da un sorvolo ravvicinato della Terra e da due di Venere e fu seguito da tre manovre di fionda gravitazionale su Mercurio prima dell'ingresso in orbita attorno al pianeta il 18 marzo 2011. In seguito al primo fly-by di Mercurio, la sonda MESSENGER inviò a terra le prime immagini dell'emisfero "sconosciuto" di Mercurio.
La missione permise di scoprire la composizione della superficie, di rivelare la sua storia geologica, di analizzare il suo campo magnetico e di verificare la presenza di ghiaccio ai poli. La missione si concluse con il decadimento orbitale e l'impatto ad alta velocità sulla superficie, creando presumibilmente un nuovo cratere dal diametro di 16 metri.

BepiColombo:
Il 20 ottobre 2018 è avvenuto il lancio da parte dell'ESA della missione spaziale BepiColombo, così battezzata in onore dello scienziato, matematico e ingegnere Giuseppe Colombo (1920-1984).
La missione è volta esclusivamente all'esplorazione del pianeta più interno.
La missione ha l'obiettivo di approfondire lo studio del pianeta e di testare la teoria della relatività generale, consiste di due orbiter, il primo che si stabilizzerà in un'orbita con un apoermeo di 1.500 km per lo studio ravvicinato del pianeta e il secondo con un apoermeo di 11.600 km per lo studio della sua magnetosfera.
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