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sabato 20 giugno 2015

"Il Tempo del Medico" di Dott. Paolo Andrea Sanesi

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IL TEMPO ….. DEL MEDICO
(ovvero: una riflessine sollecitata da un collega ma "buona" per tutti.....o almeno per chi si sofferma un attimo a pensare).

I profondi cambiamenti dell'assistenza sanitaria e quelli delineati dal riordino del Sistema Sanitario Toscano hanno prodotto e produrranno una profonda mutazione della professione ma soprattutto della professionalità del medico che, allo stato attuale delle cose, non sembrano rientrare neppure negli argomenti di discussione. Eppure il tema dovrebbe essere centrale e di interesse comune, dal momento che, se il "sistema sanitario" coinvolge genericamente la collettività, la "salute" riguarda la persona, il bene supremo di ogni singolo cittadino.
Ed allora cerchiamo di riflettere brevemente:
Il tempo del medico. L'arte medica si costruisce all'interno della relazione. Nasce da quell'alchimia impalpabile frutto dell'incontro di due individui (medico/paziente), posti in un rapporto empatico, sempre diverso ed assolutamente unico. Ed in questo incontro la variabile "tempo" assume un valore determinante.
Per la struttura del nostro cervello i processi mentali richiedono tempo ed i nostri brevi "momenti di attenzione" (così siamo strutturati !), vogliono concentrazione. Le relazioni di aiuto devono realizzarsi all'interno di "recinti sacri", all'interno dei quali il tempo svanisce per lasciare il posto all'azione regolatrice dell'empatia e della "cultura" del professionista. La difesa di questi spazi dall'aggressione di modelli di lavoro assolutamente impropri per la professione medica dovrebbe rappresentare il tema centrale della discussione e della riflessione sulle nuove strategie di riordino in campo sanitario.
Trasformati in macchine che producono sempre più servizi (dequalificati e dequalificanti) e organizzati senza tener conto della variabile "tempo" i Medici potranno anche essere funzionali al sistema ma le loro risposte saranno sempre più, prive di approfondimento, di elaborazione ed in definitiva di "arte".
Il tempo breve avrà dissolto quelle capacità professionali pazientemente stratificate durante il lento processo di formazione e, forse, insieme ad esse, anche la consapevolezza del Medico riguardo ai motivi del proprio senso di frustrazione.
L'arte del medico. In un sistema sanitario dominato, per necessità evidenti, dall'economia, le valutazioni economico/finanziarie, cioè l'attualizzazione dei costi/benefici, diventano imprescindibili. La sostenibilità di tutto il sistema si regge infatti su indicatori economici.
Gli indicatori di qualità passano in secondo piano ed il Medico diventa un fornitore di servizi, secondo un modello neo-tayloristico di organizzazione del lavoro. Si inseriscono sempre più mansioni che non richiedono competenze specifiche o specifiche conoscenze. Ciò porta, nel tentativo di "reggere il ritmo", ad allentare l'attenzione sul versante "culturale/formativo" e ad operare su piani dequalificati e dequalificanti con la conseguente perdita di "arte medica".
Ma lavorare in ambiti con elevati ritmi di lavoro comporta anche la perdita di quello slancio ideale che è parte costitutiva del vissuto del Medico. L'arte medica "nutre" la parte emozionale del professionista, la consapevolezza dell'importanza della propria cultura lo rende massimamente responsabile di fronte ai propri simili.
La perdita di questi orizzonti, la mancanza di stimoli che ri-confermino questo impegno ideale, l'appiattimento su mansioni sempre meno "considerate" creano frustrazione, demotivazione e stress, che spesso possono sfociare in un franco burn-out.
Le mansioni del medico. In un sistema alla ricerca della propria sostenibilità economica un organizzazione di lavoro di tipo neo-tayloristico è la risposta più efficace? Trasformare i professionisti in dispensatori di servizi (sempre più numerosi), è la scelta più appropriata? Nell'intento di ottimizzare le risorse non sarebbe opportuno identificare degli indicatori che tenessero conto della qualità dei servizi forniti e dei risultati conseguiti in termini di salute? E' corretto utilizzare competenze professionali per mansioni dove la quantità (leggi eccessivo carico burocratico) prende il posto della qualità?
A queste domande dovrebbe rispondere (ahimè!) la politica nel momento in cui si appresta a mettere in campo nuove strategie di assistenza ( ovviamente senza alcun coinvolgimento della parte medica !!), domande che rispondono in definitiva al bisogno di cura "globale" che ogni cittadino/paziente dovrebbe ricevere per suo diritto.
Domande all'interno di orizzonti di senso non assolutamente secondari che richiederebbero, conoscenze, sensibilità e cultura che attualmente non riusciamo purtroppo ad intravedere.

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