L’albero che è in me...
Chiara Franceschini
Raccontaci un sentimento
Dal tepore della cucina, guardo la neve cadere impassibile sugli alberi, gelandoli fino alle radici. Normalmente gli inverni da noi sono rigidi, ma mai nevosi. Certo è bello vedere il colle imbiancato ed osservare i cambiamenti del paesaggio. D'altronde è la prima volta che vedo la neve dal "vivo"! Mentre i miei pensieri scorrono, il silenzio ovattato che mi avvolge, ovunque io volga lo sguardo, mi dà un senso di quiete. A me, ma non a mio nonno Emanuele che è teso e pensieroso; non l'ho mai visto con le mani in mano, o peggio, come ora, con la testa tra le mani. É preoccupato per i danni che il gelo arrecherà al nostro ben amato Uliveto. Abbiamo una piccola azienda agricola a conduzione familiare; da quando é morto mio padre, quattro anni fa, la porta avanti mio nonno. Per lui é come far sopravvivere suo figlio, attraverso gli alberi che amava tanto, che gli davano si tanto lavoro e fatica, ma anche tante soddisfazioni: noi siamo stati i primi a fare innesti “misti” con grande successo! E tutto nel rispetto della natura e dell’ambiente. I nostri, sono olivi speciali, anche se particolarmente delicati. Per Emanuele lavorare nella natura non è solo una distrazione dal dolore per la prematura perdita del figlio, ma anche un’attività taumaturgica, perché ogni attenzione che riserva agli olivi è come se la rivolgesse a mio padre. L’uliveto per la nostra famiglia rappresenta anche la fonte più ricca per il nostro sostentamento. Senza di loro saremmo rovinati; ecco perché la neve spaventa tanto nonno Emanuele. A novembre, quando si preannunciava il grande freddo, l'aiutai a coprire le radici degli olivi con paglia, foglie e terriccio. La protezione delle radici é fondamentale per la sopravvivenza delle piante. Fu un lavoro lungo e accurato. Ma vederle piegate sotto il peso della neve, angoscia anche me; perché se é vero che l'ulivo é una pianta flessibile, è anche vero che a tutto c'è un limite. Effettivamente alcuni, quelli più esposti, sono piegati quasi in due dallo sforzo. Sono molto affezionata ai nostri alberi oleosi; a molti ho dato addirittura un nome! In primavera ed in estate sono i miei confidenti, perché a volte penso ad alta voce. I grandi adducono il mio strano comportamento alla disgrazia che ci ha colpito. Dicono che sono cresciuta prima del tempo, che sono molto matura per la mia età….mah…io credo che qualcuno mi abbia rubato un pezzo di felicità e mi sento in credito. Onestamente temo invece di essere "guasta", il mio cuore è "rotto", forse anch'io sono malata di quel male invisibile che si è portato via mio padre? "Emma, io esco, devo fare una cosa." La voce tuonante di mio nonno mi riporta alla realtà. Il suo tono allarmato, mi fa vincere l'astio verso il freddo, mi vesto e gli corro dietro. Ha impugnato una motosega e si dirige con decisione verso l'ulivo maestro. "Nooo, fermo! Non vorrai tagliarlo?!" Il rombo del motore copre quasi la sua voce mentre mi risponde "Devo, altrimenti il ghiaccio di stanotte lo spezzerà in due ed il gelo penetrerà fino alle radici. Fidati di me, so cosa faccio!" "Ma così lo ucciderai tu! Ti prego non farlo, non a lui, lo ha piantato papà. .." Piangevo mentre urlavo disperatamente, ma mio nonno era sordo alle mie proteste. Io non sono un tipo che dimentica facilmente ed ancora meno che perdona. E quel gesto non glielo perdonai.
L' inverno lasciò spazio alla primavera e questa all'estate. Mio nonno aveva a più riprese cercato di blandirmi, ma io non avevo più messo piede nell' uliveto dal quel fatidico giorno. Ritenevo che non fosse la maniera corretta di trattare un essere vivente. Ero piena di dubbi: Emanuele aveva fatto lo stesso con mio padre? Era lui che gli aveva staccato la spina o era stata la malattia? E se fosse stato lui a suggerire ai medici di "dare un taglio netto"? E se anche io fossi davvero "guasta", farebbe lo stesso con me? Pensieri e pensieri ma mai parole, perché riuscivo a parlare solo con i miei amici alberi che io, per vigliaccheria, non ero più andata a trovare. Un pomeriggio di settembre mi feci coraggio; le gambe camminavano ma io rimanevo incollata ad i miei ricordi. ..brutti ricordi. ...che si sovrapponevano all'ultima volta in cui avevo visto mio padre: disteso sul lettino del l'ambulanza, più bianco del lenzuolo che gli copriva le gambe; maschera del l'ossigeno sul volto, sguardo inconsolabilmente consapevole di chi sa di guardare la sua casa per l'ultima volta. Non avrei voluto vedere, non avrei voluto sapere, invece avevo visto ed avevo saputo. Persa nei miei pensieri, mi sorpresi a parlare ad alta voce ad un cespuglio di olivo. Un cespuglio di olivo al posto dell'olivo maestro??? Giovani fittoni lunghi e rigogliosi mi guardavano sorridendo. Facevano il giro del tronco e lo ricoprivano fino al centro. I rami erano alti quasi quanto me! Mi guardai attorno, si veda che le altre piante avevano subito dei danni. Erano tutte spente e mogie, ma non il cespuglio. "Non potevo lasciare morire anche lui, piccola mia!" Mio nonno mi aveva raggiunta in silenzio. "L'olivo è la pianta della vita eterna, basta conservare le sue radici che riuscirà a rinascere anche dalle ceneri. L'olivo è come l'Amore, se lo curi, non muore." Sentivo le lacrime scendermi lungo le guance e tra un singhiozzo e l'altro ribattei "Però papà è morto ed io lo amavo tanto." "Non parlare al passato perché tu lo ami ancora. Egli vive in te e nei nostri cuori. E lì non morirà mai." Ci abbracciammo forte per diversi minuti. Piangemmo insieme e da quel giorno ebbi un nuovo confidente. Non solo lo avevo perdonato, ma avevo imparato un sentimento nuovo: la fiducia.
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