Gli Usa fanno la voce grossa e all’Europa tocca il peso delle sanzioni. Per l’Ucraina…
di Dario Rivolta *
Gli storici del futuro potranno ricordare il 21 novembre del 2014 tra le date che corrono il rischio di marcare la differenza tra la guerra e la pace. E’, infatti, il giorno in cui cinque partiti del Parlamento di Kiev, considerati filooccidentali, hanno raggiunto un accordo per dare vita a un nuovo governo, il cui principale obiettivo sarà l’adesione dell’Ucraina alla Nato. La seconda tappa sarà di aderire all’Unione Europea.Anche il meno smaliziato tra gli osservatori sa che già il fare un annuncio di questo genere suona come una vera e propria provocazione per la confinante Russia, Paese che già si sente sotto attacco da parte dell’Alleanza occidentale e che di conseguenza mai accetterà una realtà siffatta.La geopolitica si è sempre basata sull’equilibrio e, talvolta, lo scontro d’interessi nazionali contrapposti. E’ quindi comprensibile che un qualunque Paese che veda minacciati i propri fondamentali interessi reagisca in un modo o nell’altro per “legittima difesa”. Può perfino accadere, anche se meno accettabile, che, approfittando della debolezza altrui, qualche Stato voglia allargare i propri interessi a spese di un altro.In questo caso però, quel che non riusciamo purtroppo a capire è quali siano gli interessi dell’Europa nella questione ucraina. E’ evidente che, conoscendone le possibili conseguenze, suonerebbe assurdo che i politici di Kiev possano fare affermazioni come quella sopra menzionata se non incoraggiati da altri con la promessa di garantirli davanti a ciò che ne potrebbe derivare. E che questo “qualcun altro” siano gli Stati Uniti è fuor di dubbio: nulla da stupirsi, quindi davanti a chi si considera il padrone del mondo. Che però a fianco della potenza d’Oltreoceano, tra l’altro geograficamente lontanissima dall’area coinvolta, si aggiunga l’Unione Europea fa riflettere in merito alla lungimiranza e al senso di responsabilità dei nostri attuali (pseudo) leader.Che cosa guadagna l’Europa dalla possibile adesione dell’Ucraina? E cosa dai cattivi rapporti con la Russia che è, tra l’altro, la più grande riserva di materie prime al mondo? Ciò che resta evidente è solo quanto si perderebbe: un mercato di enormi dimensioni per prodotti e know-how che va da Brest-Litovsk a Vladivostok, aziende europee, già sofferenti per la crisi interna che perdono clienti acquisiti con fatica nel corso dei decenni, il rischio di uno scontro sempre più duro che non arriva a escludere nemmeno una guerra. In compenso, l’Ucraina è un Paese disastrato, dall’economia fatiscente, pieno di debiti (soprattutto proprio con la Russia) ove oligarchi arricchitisi in maniera dubbia fanno il bello e il cattivo tempo manipolando sentimenti e comportamenti di disperati di cui una buona parte costretta a cercare la sopravvivenza nell’emigrazione. Come se quanto sopra non bastasse, i politici di Kiev hanno anche annunciato di voler stanziare almeno il 3% del budget statale per l’acquisto di armamenti (la maggior parte dei Paesi europei vi stanzia tra l’1 e 1,5%). Con i soldi di chi?Ma, qualcuno obietterà, i diritti umani e la volontà democratica di un popolo hanno un valore superiore alle decine di miliardi di euro che noi daremo ai fratelli ucraini per cominciare a cercare di risollevarsi. Benissimo! Forse bisognerebbe spiegarlo anche a tutti i disoccupati greci, portoghesi, francesi, spagnoli, ungheresi, italiani ecc., cui il loro governo dice che lo Stato, a causa della crisi economica, deve spendere di meno e che è l’Europa (sì, proprio la stessa che è così generosa con Kiev) che ce lo impone. Ma si spieghi anche che il colpo di stato di un anno a Kiev, quello che distrusse palazzi pubblici, che massacrò poliziotti, che costrinse un Parlamento a legiferare sotto la minaccia di qualche migliaio di facinorosi sia stato una manifestazione di democrazia e che gli ucraini abbiano fatto tutto da soli e senza alcun intervento di Paesi stranieri. E lo si dica, in particolare ai lavoratori dei cantieri navali francesi che potrebbero, molto probabilmente, essere chiamati a pagare, con la perdita del loro posto di lavoro, le sagge decisioni assunte dai vertici di Bruxelles e da qualcuno più lontano. La Francia, infatti, cui la Russia aveva ordinato due grosse navi anfibie della classe Mistral, ha ricevuto l’ordine dalla Nato di non consegnare più le due navi. E questo nonostante una di esse sia già in mare e teoricamente pronta a partire con i suoi 400 marinai russi dal porto di Saint Nazaire. Se la consegna non avverrà come pattuito, così come farebbe il contraente di qualunque contratto commerciale, il danneggiato chiederà gli vengano pagati i danni che, nel caso della prima nave corrispondono a 3,8 miliardi di dollari. A questa seguirà poi la richiesta di indennizzo per la seconda e le somme che qualunque tribunale internazionale non potrà che imporre di pagare, andranno ad aggiungersi a quelle che tutti i contribuenti europei hanno già pagato per sistemare, parzialmente, gli arretrati che gli ucraini dovevano a Mosca per l’acquisto di gas russo. E si aggiungeranno a quelle che dovremo pagare anche quest’inverno affinché gli ucraini non muoiano di freddo.C’è da domandarsi se questi calcoli, economici e politici ma evidenti per tutti, furono fatti in precedenza da coloro che finanziarono e organizzarono le manifestazioni di piazza Maidan e che incoraggiano ora i partiti di maggioranza del parlamento di Kiev ad assumere irresponsabili atteggiamenti.La cosa peggiore di tutte, comunque, è che anche chi è stato atlantista ed europeista da sempre, ora comincia a chiedersi se c’e’ ancora un qualche senso in queste istituzioni o se non si deve cominciare a pensare diversamente.
* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali
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