Anche il comune che appalta la raccolta e' penalmente perseguibile
Nell'ipotesi di malagestione dei rifiuti.
Colpevoli se non controllano la filiera !!!!!!
Quando l’appaltatore è il responsabile della corretta gestione dei rifiuti? 22 aprile 2014 Il legale rappresentante di una società appaltatrice è stato recentemente ritenuto dalla Corte di Cassazione colpevole del reato di associazione per delinquere (art. 461 c.p.) e di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 260, D.L.vo n. 152/2006), in concorso con il committente dei lavori, per attività di illecito smaltimento di rifiuti speciali (nella specie, ingenti quantità di materiale abrasivo di scarto, c.d. grit esausto, prodotto da lavori di verniciatura di carene di navi). Con la sentenza n. 13025/2014 della S.C. la responsabilità dell’appaltatore, in particolare, è stata accertata in quanto tale soggetto è risultato acquirente ed utilizzatore del suddetto materiale. Questa circostanza, secondo i giudici, rende l’appaltatore responsabile della corretta gestione dei rifiuti prodotti, con particolare riferimento al loro smaltimento. I giudici hanno infatti desunto, dalla totale mancanza di verifiche da parte dell’appaltatore e dalla clausola contrattuale che gli affidava in toto la gestione del materiale (prevedendo invece che lo smaltimento dei rifiuti ed i relativi costi fossero a carico committente), l’esistenza di una vera e propria associazione per delinquere. Nella motivazione della sentenza si legge infatti che “Trova applicazione il disposto dell’art. 188, comma 1, del D.L.vo n. 152 del 2006, secondi cui il produttore iniziale dei rifiuti … che consegni tali rifiuti ad un altro soggetto che ne effettui, anche in parte, il trattamento … conserva la responsabilità per l’intera catena di trattamento, restando inteso che essa sussiste anche nel caso in cui i rifiuti siano trasferiti per il trattamento preliminare ad uno dei soggetti consegnatari”. Ciò significa che, pur in assenza di uno “specifico” obbligo documentale, la responsabilità del produttore iniziale del rifiuto non si arresta al momento del primo conferimento dello stesso. Il richiamato art. 188 è stato peraltro interamente riscritto dal D.L.vo n. 205/2010, ma la nuova versione della norma entrerà in vigore solo all’indomani della piena operabilità del regime del SISTRI[1] (Sistema di controllo della Tracciabilità dei Rifiuti). Prima di tale data, pertanto, secondo il dettato normativo occorrerà fare riferimento alla versione anteriore all’entrata in vigore del D.L.vo n. 205/2010, che prevede che la responsabilità del produttore, configurabile per tutte le fasi della gestione dei rifiuti, sia tuttavia esclusa dal momento in cui i medesimi vengono presi in carico dal primo impianto autorizzato a recuperarli o a smaltirli, con contestuale sottoscrizione da parte del gestore della copia del formulario d’identificazione dei rifiuti ex art. 193, D.L.vo n. 152/2006. Per contro, la versione “modificata” dell’art. 188 prevede una sorta di doppio regime di responsabilità, che per il produttore iniziale risulta estesa all’”intera catena di trattamento”, qualora egli non sia iscritto al SISTRI, mentre è limitata alla “rispettiva sfera di competenza”, nel caso in cui il produttore abbia aderito al SISTRI ed adempiuto agli obblighi da esso derivanti. La S.C., dal canto suo, assume nella sentenza in commento che la versione dell’art. 188 ad oggi vigente sia quella modificata dal D.L.vo n. 205/2010, della quale richiama espressamente il principio di conservazione della responsabilità in capo al produttore iniziale di rifiuti “per l’intera catena di trattamento”, e ciò anche per il caso in cui i rifiuti siano prodotti dall’appaltatore in esecuzione di un contratto di appalto. Questo nonostante il caos normativo (e non solo) che circonda l’istituto del SISTRI, ad oggi non ancora pienamente in vigore. Ma i giudici, nella sentenza in esame, si spingono oltre, affermando che «… come costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, colui che conferisce i propri rifiuti a soggetti terzi per il recupero o lo smaltimento ha il dovere di accertare che questi ultimi siano debitamente autorizzati allo svolgimento delle operazioni, con la conseguenza che l’inosservanza di tale regola di cautela imprenditoriale è idonea a configurare la responsabilità per il reato di illecita gestione dei rifiuti in concorso con coloro che li hanno ricevuti in assenza del prescritto titolo abilitativo».
Non entrando nel merito tecnico/legale della questione, la redazione di greenreport ritiene comunque che fino a quando dei rifiuti ci si ostinerà a parlarne solo a valle e non al momento che vengono prodotti, difficilmente si troverà soluzione alle situazioni di qualunque tipo successive Trasporto illecito dei rifiuti: i furbetti dei veicoli intestati a terzi… Riceviamo e volentieri pubblichiamo
22 aprile 2014 Nel complesso quadro delle strategie di contrasto alla criminalità ambientale che opera nel trasporto e nel traffico illecito di rifiuti, attività dinamiche storicamente anticamere di smaltimenti illegali di ogni tipo fino ai pericolosi e micidiali sotterramenti dei rifiuti pericolosi, un posto di assoluto e primario rilievo occupano le posizioni dei soggetti che trasportano rifiuti di ogni tipo senza essere iscritti all’Albo Nazionale Gestori Ambientali. Questa mancata iscrizione è da molti ritenuta una sorta di illecito minore, un “reato cartolare” solo legato ad un adempimento di pura forma e senza danno reale e diretto. Una specie di omissione burocratica e formale ma senza effettività di conseguenze rilevanti. Ed invece non è affatto così. Infatti la mancata iscrizione all’Albo è un fatto straordinariamente sostanziale, ed è un (necessario) elemento presupposto per garantire un’attività da sempre e per sempre “in nero” ed invisibile per chi trasporta rifiuti (anche pericolosi) sotto ogni profilo. Chi non si iscrive all’Albo manifesta puramente e semplicemente una volontà dolosa di delinquere in tutto l’arco della sua vita lavorativa; consegue che non potrà mai compilare alcun formulario, non potrà mai accedere a nessun impianto di trattamento o recupero ufficiale, dovrà inevitabilmente alla fine di ogni viaggio smaltire i rifiuti trasportati in modo illegale (leggi: riversandoli da qualche parte) ed infine è conseguentemente evasore totale a livello fiscale e tributario perché certamente in tale quadro non emette fatture. Si tratta di un delinquere invisibile e silente, permanente e senza alcuna minima possibilità di operare – neppure in parte – legalmente. Ogni rifiuto (anche pericoloso) trasportato da un soggetto non iscritto all’Albo è destinato a finire inevitabilmente in uno smaltimento illegale con danno per l’ambiente e – spesso – per la salute pubblica. Inoltre, questi soggetti creano danni rilevantissimi alle aziende virtuose che in questo settore rispettano le regole, si iscrivono all’Albo, redigono i formulari, emettono fatture e pagano le tasse, e poi trasportano i rifiuti verso centri di recupero o smaltimento autorizzati. I trasportatori onesti di rifiuti vedono sul mercato una concorrenza spietata e mortale da parte dei trasportatori illegali “in nero” atteso che questi ultimi –logicamente – possono praticare ai clienti produttori di rifiuti prezzi enormemente più bassi. Si alterano così in modo fraudolento le leggi di mercato, si opera una dannosa concorrenza sleale, si soffocano le aziende sane, si alimenta la cultura dell’illegalità e della furbizia che viene premiata, si incoraggiano i produttori a cadere nelle tentazioni di conferire i rifiuti ai trasportatori illegali per risparmiare, si toglie lavoro ai centri di recupero e smaltimento legali data la concorrente destinazione (necessariamente) illecita deitrasportatori non iscritti all’Albo. Come si vede, altro che illecito “cartolare”… Stroncare – dunque – le attività di coloro che trasportano rifiuti senza iscrizione all’Albo (a tutti i livelli, perché anche i più modesti soggetti poi alla fine – operando tutti i giorni per tutto l’anno – fanno comunque danno…) è ritenuto dalla legislazione di settore un obiettivo di assoluta primaria importanza con la previsione di norme che non sono – come molti sono portati a pensare con retropensieri arcaici – sanzioni per vessare poveri soggetti che si guadagnano da vivere pur non avendo operato un mero e cartaceo adempimento formale, ma sono sanzioni varate per raggiungere un obiettivo chiaro e necessario: togliere dalla circolazione in via definitiva sul territorio queste entità che sono fonte di danni permanenti per l’ambiente e la salute pubblica (e l’economia privata e pubblica) perché costituiscono l’ossatura portante di quel sistema dinamico che poi alimenta – nella parte finale – tutti gli smaltimenti illegali dei rifiuti (tra i quali anche i micidiali sotterramenti cause di tumori seriali di cui alle cronache ormai continue). Dunque, in tale quadro di contestualizzazione generale va letta (ed applicata) la norma che prevede la confisca obbligatoria dei mezzi utilizzati per i trasporti e traffici in questione, così come chiaramente ed opportunamente prevista dall’art. 259 comma 2 del D.Lgs n. 152/06. E va sottolineato che tale norma prevede – proprio in considerazione della gravità del fenomeno – che addirittura tale confisca è obbligatoria (sottolineo: obbligatoria, non facoltativa) non solo in caso di condanna ordinaria, anche in caso del “patteggiamento” di cui all’art. 444 C.P.P. Come si vede, una norma di sbarramento generale la cui ratio legis appare chiara e lineare: impedire a chi delinque in questo settore di continuare a delinquere (sotto ogni veste diretta o indiretta) sottraendo dalla loro disponibilità operativa i veicoli che sono il mezzo unico e basilare per continuare l’attività illecita. Una volta tanto un principio netto e logico, che non avrebbe dovuto dare spazio ad avventure interpretative dissimili rispetto al lucido intento del legislatore. Ed invece anche questa volta, come ormai è comune nel campo delle norme ambientali, si sono aperti i varchi interpretativi e – di fatto – questa norma si sta progressivamente svuotando di contenuto pratico nelle applicazioni concrete. In primo luogo, il punto debole storico è sempre stato (ed è tutt’oggi) il momento precedente (e necessariamente presupposto) alla confisca e cioè il (doveroso) sequestro preventivo in flagranza di reato che tutta la polizia giudiziaria deve (dovrebbe) eseguire di iniziativa su strada in caso di accertamento in flagranza del reato di trasporto di rifiuti di ogni tipo (pericolosi in prima linea) con veicoli senza la necessaria iscrizione all’Albo. A fronte di un soggetto che guida un veicolo con un carico di rifiuti totalmente “in nero” senza iscrizione all’Albo, e dunque in modo inevitabilmente conseguente anche senza formulario, e dunque anche – sempre inevitabilmente – diretto verso una destinazione di smaltimento illegale ed in palese evasione totale sotto il profilo fiscale e tributario, mi sembra che un operatore di polizia giudiziaria su strada ha il (doppio) dovere di: A) Procedere immediatamente al sequestro preventivo del veicolo indipendentemente dal soggetto al quale lo stesso veicolo risulta formalmente intestato per impedire che il reato in atto – ed anche il reato (inevitabilmente) conseguente di smaltimento illecito dei rifiuti trasportati – venga portato ad ulteriori conseguenze (compito primario di ogni operatore di PG); lo stesso sequestro preventivo (si sottolinea l’opportunità del sequestro preventivo e non probatorio) è poi logicamente finalizzato anche ad evitare la reiterazione futura dello stesso tipo di reato con altri viaggi ed altri carichi di rifiuti; inoltre va accertata la natura generale delle attività di trasporto illecite del trasportatore in “nero” in via pregressa, e dunque va isolato momentaneamente il conducente per impedirgli di contattare per via telefonica la sua sede ed i suoi eventuali capi o dipendenti, va immediatamente allertata la PG operante nel territorio ove è ubicata la sede del predetto trasportatore per operare subito (prima che si disperdano tracce e documenti) un sequestro di tutti gli atti, strumenti e dati utili per risalire ai clienti fornitori (produttori dei rifiuti) che dolosamente in via pregressa hanno fornito i propri scarti a detto trasportatore ben condividendo dolosamente l’inevitabile fine di smaltimento illegale; e da qui partire con una indagine estesa per verificare quali e quanti rifiuti in precedenza sono stati illegalmente forniti e trasportati, dove sono poi finiti e quali sono le eventuali concorrenti responsabilità penali di fornitori e recettori finali. Va inoltre immediatamente informato il locale comando della Guardia di Finanza per gli accertamenti fiscali connessi ai sensi dell’art. 36 del DPR 29 settembre 1973 n. 600. Questa prima finalità del sequestro preventivo di iniziativa – va ancora sottolineato – è indipendente dal soggetto al quale il veicolo risulta intestato: «…è pacifico che oggetto del sequestro preventivo di cui all’art. 321, c.1, cod. proc. pen. può essere qualsiasi bene, a prescindere dall’appartenenza di esso, sempre che esso risulti collegato al reato, sebbene indirettamente, ed idoneo, ove lasciato in libera disponibilità, a costituire pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti». Fattispecie relativa la sequestro preventivo di un automezzo – intestato a soggetto terzo – utilizzato per trasportare rifiuti metallici presso un rottamatore senza l’iscrizione all’Albo, in tale ipotesi si è ritenuto che « …il sequestro deve essere mantenuto in quanto sussiste il periculum in mora – perché l’automezzo utilizzato per il trasporto illecito di rifiuti è soggetto a confisca obbligatoria, anche se appartenente a soggetti estranei al reato» (Corte di Cassazione Penale, sezione III, sentenza del 3 aprile 2012, n. 12501).
B) Procedere immediatamente al sequestro preventivo del veicolo anche perché – comunque – al di là dei principi e procedure generali sopra esposte, la norma prevede la confisca obbligatoria dello stesso. In base al combinato disposto dell’art. 259 comma 2 del D.lgs n. 152/06 e dell’art. 240 Codice Penale tale confisca sarà poi possibile solo se il veicolo “appartiene” al responsabile del reato. Ma va considerato che laddove il veicolo sia formalmente intestato ad altro soggetto il sequestro va comunque operato per le finalità sub A) sopra indicate, e poi al momento per il presente punto sub B) in questo momento iniziale non è certamente possibile accertare in via definitiva chi sono o saranno i responsabili del reato, e comunque va valutata in sede giurisdizionale l’effettiva estraneità del soggetto a quale “appartiene” il veicolo rispetto ai reati per cui si procede: «…come reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, è evidente che il mezzo da confiscare debba appartenere all’autore del reato e che, pertanto, la confisca dei mezzi di trasporto appartenenti ad un terzo estraneo al reato non possa essere ordinata, sempre che nei suoi confronti non sia individuata la violazione di obblighi di diligenza e che risulti la buona fede, intesa quale assenza di condizioni che rendano probabile a suo carico un qualsivoglia addebito di negligenza da cui sia derivata la possibilità dell’uso illecito della cosa e senza che esistano collegamenti, diretti o indiretti, ancorché non punibili, con la consumazione del reato (così Sez. III n. 33281, 3 agosto 2004. Nello stesso senso, Sez. III n. 44837, 30 novembre 2007, non massimata; Sez. III n. 26529, 2 luglio 2008; Sez. III n. 12108, 19 marzo 2009; Sez. III n. 20935, 19 maggio 2009). Si è ulteriormente precisato come gravi sul terzo proprietario estraneo al reato l’onere di una rigorosa dimostrazione del necessario presupposto della buona fede, ovvero di non essere stato a conoscenza dell’uso illecito del mezzo o che tale uso non era collegabile ad un proprio comportamento negligente, al fine di ottenere la restituzione del mezzo ed evitare la confisca, rilevando anche che, in tali casi, la dimostrazione richiesta la terzo proprietario non configura un’ipotesi di inversione di onere della prova che la legge penale non consente, poiché non riguarda l’accertamento della responsabilità penale (Sez. III n. 22026, 9 giugno 2010, non massimata. Conformi, Sez. III n. 46012, 12 dicembre 2008; Sez. III n. 26529, 2 luglio 2008, cit.; Sez. III n. 33281, 3 agosto 2004, cit.). » (Corte di Cassazione Penale, sezione III, sentenza del 19 aprile 2013, n. 18266) Dunque, su strada a mio modesto avviso, per la PG le finalità preventive di impedire al momento la continuazione del reato e la sua reiterazione sono prevalenti, e ciò in tale contesto di flagranza prescinde dalle valutazioni poi in sede di decisione di confisca. Come esempio manualistico, mi appare del tutto illogico che un operatore di PG su strada, dopo aver fermato ad un posto di controllo un veicolo totalmente “in nero”, senza iscrizione all’Albo, senza formulario ed evasore fiscale totale che trasporta – appunto ad esempio – eternit sbriciolato, si limiti poi a verificare queste illegalità seriali e, pur ben sapendo che quel carico di eternit in quelle condizioni non potrà mai raggiungere un sito regolare, e dunque nella pratica certezza che finirà in uno smaltimento illegale, dia via libera al viaggio dopo il controllo, limitando il proprio operato alla sola successiva comunicazione di notizia di reato al PM. Consegue, sempre a mio modesto avviso, che in ogni caso in questi scenari il veicolo utilizzato per trasportare rifiuti senza iscrizione all’Albo, essendo comunque integrato il reato di cui all’art. 256 D.Lgs n. 152/06 connesso, deve arrivare al PM per la procedura di convalida presso il GIP per detto sequestro preventivo “bifasico”. E non dovrebbe essere lasciato libero di andare a completare lo smaltimento (inevitabilmente) illegale attuale e di continuare ad operare allo stesso modo nei giorni e mesi successivi… A questo punto, terminata la fase di competenza della PG, si aprono diversi possibili scenari procedurali e sostanziali in sede di diverse e rispettive competenze giurisdizionali. Il primo caso è (dovrebbe) essere il più semplice e lineare. Se il veicolo “appartiene” al soggetto che poi risulta responsabile dei fatti e non “appartiene a persona estranea al reato”, mi sembra che stando alla lettera ed allo spirito delle norme sopra richiamate non vi è dubbio che il mantenimento in stato di sequestro appare doppiamente dovuto: sia perché in questo caso la confisca è obbligatoria perfino in sede di patteggiamento, sia per impedire comunque che il reato venga reiterato. In tali casi (il veicolo “appartiene” al soggetto ritenuto responsabile del reato in esame) mi sembra che dissequestrare prima, e non confiscare poi il veicolo siano eventualità decisionali non in linea formale e sostanziale con lo spirito ma anche con il chiaro dettato letterale della norma che non pare ammettere eccezioni o dubbi di lettura: “consegue obbligatoriamente la confisca del mezzo di trasporto”… Come si può dissequestrare prima, o non confiscare poi in sede di sentenza di condanna o patteggiamento, se la norma prevede l’obbligo della confisca?… « La confisca dei mezzi utilizzati per l’illecito trasporto di rifiuti è obbligatoria, ai sensi dell’art. 259, comma 2, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 » (così Cassazione Penale – Sez. III – n. 42140 del 14 ottobre 2013), Se – invece – il veicolo non “appartiene” al soggetto che poi risulta responsabile dei fatti e “appartiene a persona estranea al reato”, si devono a mio avviso valutare alcuni elementi su un doppio binario per operare una applicazione sostanziale e non meramente cartacea e formale del combinato disposto dell’art. 259 comma 2 del D.lgs n. 152/06 e dell’art. 240 Codice Penale. In primo luogo va operata una attenta riflessione sulla concreta e reale possibilità che tale mezzo, che è stato comunque individuato mentre trasportata rifiuti verso destinazione ignota e totalmente “invisibile” rispetto ad ogni regola normativa, possa di nuovo comunque (al di là della appartenenza formale e/o di fatto) essere nuovamente utilizzato per tali finalità illecite. E su questo punto molto ci si aspetta dalla comunicazione di notizia di reato della PG operante che non può limitarsi ad una informativa di tipo prontuaristico ed asettica ma deve ben inquadrare tutto il fatto (nei presupposti, nelle dinamiche e nelle conseguenze) per consentire a PM e giudici nelle varie fasi di operare una valutazione di prognosi reale ai fini della reiterazione. In relazione ai reati ambientali, la necessità di una comunicazione di notizia di reato comunque esaustiva e non asetticamente breve si conferma – dunque – sempre necessaria. Dunque è importante descrivere bene il tipo di rifiuti, la provenienza (occasionale o seriale), la sistematicità di tali viaggi (è un carico isolato oppure è lavoro stabile? E’occasionale o stile di vita?), il regime degli introiti (il soggetto o i soggetti traggono da tali attività l’unica fonte di sostentamento?), il regime delle forniture (i rifiuti sono stati forniti una volta occasionalmente o diversi soggetti o aziende sono stabilmente fornitori primari?), i risultati delle destinazioni eventualmente pregresse di precedenti viaggi (dove sono finiti eventuali carichi passati?) e la destinazione presunta o accertata del carico attuale, i danni reali o potenziali per l’ambiente e la salute pubblica (connesso non solo alla tipologia e pericolosità del rifiuto, ma anche alle modalità di azione: un “bottino” che trasporta in nero rifiuti liquidi domestici o aziendali non pericolosi ma che tutte le notti – pur essendo un soggetto singolo che si presenta come “privato “ – li riversa in pozzi isolati distrugge comunque le falde di acqua potabile della zona…). Particolare attenzione va anche riservata agli approfondimenti sui “falsi privati” atteso che oggi ulteriore strategia di chi delinque in questo settore è quello di operare in modo appartenente come “privato” e non come “azienda” e dunque con veicoli intestati a livello personale ed altre impostazioni logistiche finalizzate a far apparire tale attività come occasionale e di derivazione “domestica” (il tutto per accedere ad ipotesi sanzionatorie più miti ed esorcizzare il pericolo di reiterazione). Consegue nei verbali e nella comunicazione di notizia di reato sarà opportuno descrivere nel dettaglio il tipo di attività seriale e ripetitiva e dunque di fatto aziendale “in nero” anche se le carte depongono per un “privato”. Dunque, operata tale valutazione sulla potenziale reiterazione seriale del trasporto illecito nei contesti fattuali caso per caso, potranno emergere elementi utili per decidere sul mantenimento o meno del sequestro in atto per tali finalità preventive. Ma nel contempo credo sia oggi necessario – attese le furbizie ormai consolidate. maturate da chi delinque per sfuggire alle maglie larghe delle sanzioni in campo ambientale – operare anche una attenta valutazione sulla reale “appartenenza” di fatto del veicolo. Valutazione che per forza di cose, ma anche stando allo spirito ed alla lettera delle norme, non può essere solo limitata alla lettura della “intestazione” formale del veicolo medesimo, ma deve andare oltre.. Infatti, oggi una strategia diffusa e consolidata attuata da chi delinque nel settore in esame, soprattutto a livelli alti e di criminalità associata od organizzata, ha individuato questo punto debole formale della norma e ne approfitta provvedendo ad intestare formalmente i veicoli utilizzati per tali trasporti “in nero” a soggetti formalmente estranei a fatti: vere e proprie “teste di paglia”. Questa è una storia di tradizione antica nel campo ambientale, con nonnine novantenni analfabete tradizionalmente titolari di grande aziende di gestione di rifiuti e di flotte nutrite di mezzi e veicoli… Ed oggi questa tradizione è ancora più raffinata. A parte i casi rudimentali dei soggetti di scarso livello operativo che intestano i veicoli a mogli, figli, nonne e nipoti, oggi i soggetti che sono dediti ai trasporti seriali di livello medio ed alto scelgono strategie di “intestazione” molto più elaborate e convincenti, talchè il veicolo è così sempre “schermato” a livello formale dalla confisca. Ma spesso è anche “schermato” dal mantenimento in stato di sequestro. perché magari il soggetto sulla carta (e solo sulla carta) proprietario del veicolo risulta peraltro in precarie condizioni economiche, sociali e familiari disagiate che alimentano la pretesa necessità della restituzione del mezzo in modo conseguenziale “per sopravvivere”. In tale contesto, sempre dalla comunicazione della notizia di reato ci si aspetta elementi utili per capire bene la reale situazione di fatto. D’altra parte queste strategie sono mutuate – con le dovute differenze strutturali – da analoghe furbizie nel settore della medie e grandi evasioni fiscali, ma mi sembra che in tali settori le indagini consentono sempre di smascherare i finti intestatari di comodo per individuare (e colpire con le dovute procedure e sanzioni) i veri titolari che spesso sulla carta sono dei poveracci. Anche nel settore ambientale è doveroso lo stesso impegno di attenzione investigativa e valutativa, per evitare che le realtà sulla carta prendano il sopravvento sulle realtà reali. E’ appena il caso di sottolineare che, come sopra accennato, chi opera in questo settore è spesso una “impresa in nero” sotto ogni punto di vista (anche amministrativo e fiscale/tributario) mascherata da attività “privata” per ingannare l’organo di controllo; l’art. 256 si applica a tutto campo anche a tali soggetti, altrimenti si giungerebbe al paradosso di aver attivato una norma premiale e di favore per chi delinque in modo occulto rispetto ad un’azienda regolare… E’ logico che oggi molte “imprese” che agiscono in questo settore sono del tutto illegali ed abusive, e dunque vanno considerate per quello che sono sia rispetto a tutte le attività di gestione illegale di rifiuti sia per questo reato specifico. Dunque non ci si deve far trarre in inganno in questi casi dall’immagine esterna apparentemente “privata” ma va valutata l’attività in concreto svolta nella sua interezza (spesso anche conto terzi). Il reato disposto dall’art. 256 comma 1 del D. Lgs, n. 152/2006 si applica a “chiunque” eserciti una attività di gestione dei rifiuti in assenza di autorizzazione. Ciò significa che la norma sanzionatoria non ha come destinatari unicamente soggetti che esercitano professionalmente l’attività di raccolta, trasporto recupero e smaltimento dei rifiuti, ma si rivolge a qualsiasi soggetto –quindi anche ai privati – che si trovano ad esercitare un’attività di gestione dei rifiuti. Come infatti ha sottolineato anche la Corte di Cassazione, l’art. 256, comma 1, “…non ha natura di reato proprio integrabile soltanto da soggetti esercenti professionalmente una attività di gestione dei rifiuti, ma costituisce una ipotesi di reato comune che può essere pertanto commesso anche da chi esercita attività di gestione dei rifiuti in modo secondario o consequenziale all’esercizio di una attività primaria diversa. E ciò in relazione all’inequivocabile significato dell’espressione chiunque” adoperata nel primo comma dell’articolo citato” (Cassazione Penale – Sezione III Sentenza del 1° marzo 2007 n. 867) – “Le violazioni contenute nell’art. 256 d.lgs. 152/06 configurano un’ipotesi di reato comune, che può essere commesso anche da chi esercita attività di gestione dei rifiuti in modo secondario o consequenziale all’esercizio di una attività primaria diversa, dovendosi pertanto escludere la natura di reato proprio la cui commissione sia possibile solo da soggetti esercenti professionalmente una attività di gestione di rifiuti” (Cassazione Penale –Sezione III Sentenza dell’ 8 febbraio 2013 n. 6294) – “Le violazioni di cui al primo comma dell’art. 256 configurano un’ipotesi di reato comune, che può essere commesso anche da chi esercita attività di gestione dei rifiuti in modo secondario o consequenziale all’esercizio di una attività primaria diversa, dovendosi pertanto escludere la natura di reato proprio la cui commissione sia possibile solo da soggetti esercenti professionalmente una attività di gestione di rifiuti” (Cassazione Penale – Sezione III – Sentenza dell’ 8 marzo 2013 n. 10921). Va sottolineato che chi delinque con facilità ha trovato il modo di aggirare la confisca definitiva del veicolo (obiettivo strategico fondamentale delle norma in esame) individuando il “buco nero” che può derivare dal disallineamento del combinato disposto dell’art. 259 comma 2 del D.lgs n. 152/06 e dell’art. 240 Codice Penale. Basta infatti, sulla carta e con i bolli in regola, intestare i veicoli a persona “terza” di comodo che poi in sede giurisdizionale risulterà “estranea” al reato, ed il gioco è fatto. Se – poi – tale persona “terza” è anche di fatto un “privato” che viene presentato come tale, il panorama di travisamento della realtà dinamica dei fatti è completo e potenzialmente efficace per raggiungere l’obiettivo sperato. La garanzia di poter continuare a delinquere tranquillamente dopo la restituzione dei veicoli stessi è cosa fatta. Per questo è necessario contestualizzare caso per caso le dinamiche della realtà illegale al di là delle intestazioni sulla carta. Altrimenti tale basilare norma è di fatto vanificata alla radice. Ma sui presupposti reali di fatto del caso concreto il ruolo della polizia giudiziaria operante è fondamentale, e sono necessari verbali di sequestro e comunicazioni di notizie di reato approfondite e non prontuaristiche o su modelli prestampati, per fornire alle varie magistrature (PM in primo luogo, ma poi anche GIP, Tribunale del Riesame e giudici a diverso livello) tutti gli elementi utili per poter distinguere le realtà sulla carta da quelle reali ed i soggetti di comodo da quelli veri.
Di Maurizio Santoloci, www.dirittoambiente.
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