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Per mappare al meglio la popolazione in merito al coronavirus bisognerebbe ottimizzare l’attuale metodo di indagine: prima di fare tamponi a tappeto, occorrerebbe effettuare il test degli anticorpi su tutto il personale sanitario in primis e poi su campioni sempre più estesi di popolazione. Così si andrebbero a distinguere i soggetti asintomatici già contagiati dai non contagiati. La successiva effettuazione del tampone naso-faringeo nei soggetti positivi all’anticorpo permetterà di distinguere i portatori di virus dai già guariti e immuni. Questi ultimi potrebbero tornare a lavorare e vivere senza il rischio di contagiare o di essere contagiati. La strategia viene suggerita a ragion veduta dal prof. Ferruccio Bonino, già direttore scientifico del Policlinico di Milano, e tra i massimi conoscitori italiani di virus, avendo contribuito personalmente alla scoperta del virus dell’epatite Delta, di quello dell’epatite C, e avendo partecipato alla scoperta del virus dell’epatite B HBeAg difettiva. Bonino doveva essere a Carrara il 28 scorso per una maxi giornata di prevenzione “saltata” per “colpa” del virus. Lo studioso è sempre presente nel nostro comprensorio in occasione delle giornate di prevenzione.
INTERVISTA:
Prof. Bonino, perché dice di fare prima i test anticorpali su tutti e poi il tampone solo ai positivi?
«Lo dico in base alla mia esperienza diretta in campo maturata in molti anni di lavoro, che mi ha coinvolto anche personalmente: al tempo in cui non c’era ancora il vaccino anti epatite B contrassi in laboratorio l’epatite B acuta, fortunatamente guarita».
Quali sono i limiti del rilevamento tramite tampone?
«Innanzitutto il prelievo del materiale biologico dalla mucosa si presta all’errore di campionamento. Questo coronavirus entra per lo più nelle mucose e non nel sangue ma può non concentrarsi solo nelle prime vie respiratorie: perciò, quando si introduce il tampone nel naso o in bocca, c’è il rischio che si tocchino alla cieca solo parti dove non c’è il virus. E quindi l’analisi potrebbe dare esito negativo anche in caso d’infezione in atto. Viceversa, la combinazione di un test anticorpale molto sensibile (chiamato ELISA) al test del tampone permetterebbe di correggere alcuni errori di campionamento. Ciò però non vale per i test rapidi per gli anticorpi: non vanno bene per lo screening perché sono almeno 2-10 volte meno sensibili di quelli standard».
Quali sono i vantaggi del test anticorpale?
«Innanzitutto l’analisi degli anticorpi permette di identificare gli immuni oltreché i contagiati. Se uno risulta positivo agli anticorpi anti-Sars-Cov-2 (il nome di questo coronavirus), ma negativo al tampone, vuol dire che ha già contratto il virus ed è guarito e immunizzato. Non potrà più contagiare né contagiarsi di nuovo, come dimostrato dagli studi a Wuhan dove da due mesi nessun ex contagiato positivo agli anticorpi si è più ammalato. Viceversa, se uno risulta negativo al test degli anticorpi, non dovrà neppure sottoporsi al tampone, a meno che non abbia sintomi o avuto contatti a rischio: potrà sempre ripetere dopo 15 giorni il test degli anticorpi per assicurarsi di non aver contratto il virus (i colleghi cinesi hanno dimostrato che il 95% dei pazienti sviluppa anticorpi 12 giorni dopo aver contratto l’infezione). Inoltre questo test è molto economico: costa 100 volte meno del tampone ed è eseguibile pressoché in qualsiasi laboratorio, con margini di errore bassissimi».
Mi spiega allora perché il test tramite prelievo del sangue non viene fatto su larga scala in Italia?
«Banalmente perché non esistono ancora delle linee guida per il suo utilizzo e bisognerebbe superare le solite lungaggini burocratiche. Ricordo che la Food and Drug Administration negli Usa, l’ente governativo che si occupa della regolamentazione dei prodotti farmaceutici, ha già approvato l’utilizzo sui pazienti gravi del plasma anti-Sars-Cov-2 degli immuni».
Quali sarebbero le ricadute pratiche dell’utilizzo del test sugli anticorpi?
«In primo luogo, testare tutti gli operatori sanitari anche per gli anticorpi consentirebbe loro di lavorare con più serenità. Se un medico o un infermiere si scopre immune, non temerà di essere contagiato da pazienti Covid né di contagiare altri. Ma più in generale questo sistema permetterebbe di fare uno screening su tutta la popolazione italiana, suddividendola in tre macro-categorie. A tal proposito la professoressa Maurizia Brunetto (scopritrice del HBV HBeAg difettivo) ha messo a punto un algoritmo semplice, così strutturato. Dà semaforo verde a chi è positivo al test degli anticorpi ma negativo al tampone: costoro possono tornare subito a circolare e lavorare; semaforo giallo ai negativi sia al test degli anticorpi che al tampone, costoro, essendo suscettibili dovrebbero essere mantenuti in isolamento soprattutto se over 65 o con patologie già in atto; semaforo rosso a chi è positivo per entrambi i test: essi, avendo un’infezione in corso, devono stare in isolamento assoluto, lontano dai gialli il più possibile, fino alla risoluzione dell’infezione».
In termini economici questa mappatura della popolazione quali benefici comporta?
«È il modo migliore per concludere rapidamente il nefasto pit-stop imposto dal Covid. Questa strategia può permettere al nostro Paese di ripartire per primo e vincere il Gran Premio della ripresa economica. Ciò darebbe all’Italia un enorme vantaggio competitivo. E le consentirebbe di uscire dalla situazione di blocco nell’arco di molto meno tempo».
Quante sarebbero le persone che potrebbero godere del semaforo verde?
«La percentuale di soggetti immuni sicuramente è condizionata da quanto il virus è circolato nell’area: ad esempio è verosimile che in Lombardia il 40-50% del personale sanitario sia già immune. Per quanto riguarda la popolazione in generale, in Lombardia la percentuale degli immuni si dovrebbe aggirare ragionevolmente intorno al 20%, cioè circa 2 milioni di persone, e speriamo di più. Su scala nazionale, è ipotizzabile che il numero totale dei contagiati, buona parte dei quali presto saranno immuni, sia di molto maggiore rispetto ai dati ufficiali».
Su chi dovremmo usare invece il vaccino, una volta trovato?
«Sui semafori gialli. Appena sarà disponibile, serviranno però i migliori test anticorpali rapidi per scegliere a chi dare il vaccino e a chi no, risparmiando dosi visto che molti saranno immuni a quell’epoca».
Un’ultima cosa. Qual è il destino del virus? Scomparirà dal pianeta o resterà tra noi?
«Il SARS-CoV2 determina un’infezione acuta che si risolve nel giro di qualche settimana e non diventa cronica. Quindi, se la maggior parte della popolazione mondiale contrarrà l’infezione, il virus tenderà ad estinguersi. Il controllo nel tempo del livello anticorpale ci permetterà di capire la durata dell’immunità. La risoluzione finale però la darà solo il vaccino. Altrimenti il rischio che permangano serbatoi d’infezione che periodicamente potrebbero riaccendere focolai epidemici sarebbe elevato».
Nella foto: il professor dott. Ferruccio Bonino assieme alla presidente dell’Ordine degli infermieri dott. Morena Fruzzetti in occasione di una giornata di prevenzione in città
Alberto Ruffini.
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